II, 2019/3

Giovanni Bernardini, Maurizio Cau, Gabriele D'Ottavio, Cecilia Nubola (eds.)

L'età costituente

Review by: Paolo Soddu

Editors: Giovanni Bernardini, Maurizio Cau, Gabriele D'Ottavio, Cecilia Nubola
Title: L'età costituente. Italia 1945-1948
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2017
ISBN: 9788815273109
URL: link to the title

Reviewer Paolo Soddu - Università degli Studi di Torino

Citation
P. Soddu, review of Giovanni Bernardini, Maurizio Cau, Gabriele D'Ottavio, Cecilia Nubola (eds.), L'età costituente. Italia 1945-1948, Bologna, Il Mulino, 2017, in: ARO, II, 2019, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/3/leta-costituente-paolo-soddu/

PDF

Il volume si suddivide in quattro sezioni: "I conti con il passato", "La gestione del presente", "La continuità nella rottura", "La costruzione del futuro". L’impianto interpretativo è dato dal ricorso al concetto di transizione, definita "un luogo in cui i piani temporali si mescolano, si confondono, slittando gli uni sugli altri, fondendosi gli uni negli altri" (p. 8). Così, l’età costituente appare essere solo una parte di un più generale passaggio che accompagna il farsi dell’Italia unita. Essa fu sostanziata dall’impossibile convivenza consensuale delle sue parti – moderati e democratici nel periodo fondativo, fascisti e antifascisti nell’epoca di irruzione delle masse, comunisti e anticomunisti nella Repubblica dei partiti. In quest’ultimo caso, tuttavia, un disegno politico volto a porre in sintonia rappresentanza e legittimità si ebbe e il suo tragico fallimento finì per rivelare l’inutilità di quel sistema dei partiti sorto nel passaggio dal fascismo alla Repubblica e fondato, come scrive Paolo Pombeni, "sulle forze eredi dell’Aventino". Tutto ciò affiora nel perpetuarsi delle fratture. Il profilo di Emanuele Felice sul Mezzogiorno nella storia d’Italia e sulla "convergenza mancata" ricostruisce bene sia l’aspetto della reciproca estraneità delle due diverse parti d’Italia, sia il fatto che in nessun’altra fase, come nell’Italia repubblicana del conflitto tra conservatori e riformatori, ci si impegnò per annullare quella mancata relazione. E questo fu anche il senso del succedersi dei sistemi di partito, espressione, appunto, di una sofferenza derivante dall’impossibile riconoscimento consensuale. 
Il periodo 1945-1948 assume pertanto la valenza di punto più alto e controverso di una transizione che, come suggerisce implicitamente Felice nel suo saggio, accompagnò il farsi dell’Italia contemporanea. Lo si evince dalla difficoltà di fare i conti con il passato. Questo aspetto è messo in evidenza da Cecilia Nubola nel saggio sulla giustizia come governo della transizione, culminata nel processo alla Resistenza; da Roberto Chiarini in relazione ai fondamenti del neofascismo nell’Italia democratica, che molto si alimentava dei reduci di Salò, ma poco o nulla della dolorosissima esperienza dei volontari;  da Marco Mondini riguardo alla lunga smobilitazione, una fonte della quale, tuttavia assente nel suo ricco saggio, si può riconoscere in quella dimensione tutta novecentesca della musica leggera e, nel nostro caso, in un rito significativo della condizione effettiva della nazione quale è stato ed è il Festival di Sanremo, con i campanari, le colombe, Trieste e i vecchi scarponi, esemplificativi di quanto il senso di perdita fosse un sentimento del presente; infine da  Maurizio Cau con riferimento all’eredità persistente e inaffondabile del corporativismo, sopravvissuta anche al referendum del 2016. Il medesimo aspetto emerge anche nelle riflessioni di Pombeni in Ricostruire lo Stato, progettare il futuro sul "sistema legale messo in piedi in maniera raffazzonata dopo la 'rivoluzione fascista'" (p. 331): esso non prevedeva infatti strumenti che consentissero di liberarsi del dittatore se non con l’impossibile ritorno a prima del 28 ottobre 1922. La Resistenza aveva quindi segnato un passaggio decisivo, quello alla vita adulta. Come ricorda Santo Peli, fu "l’autentico ingresso della società italiana nel novero delle democrazie moderne" (p. 72), corroborato, lo ricostruisce Patrizia Gabrieli, dall’ingresso nella cittadinanza politica delle donne fino ad allora escluse, ma anche dalla Repubblica, dall’evoluzione dello Stato partito in Stato dei partiti. 
Della formazione del quadro istituzionale dello Stato dei partiti, il volume ripercorre i tratti fondamentali, dominati dal persistere della dimensione egemonica. Lo si evince dai saggi sulla Dc e sul mondo cattolico di Michele Marchi e di Enrico Galavotti e, specularmente, da quello sui liberali di Rino Nicolosi. Nessun’altra cultura politica ha uno spazio così individualizzato. Certo, la sinistra socialista è ricordata da Chiara Giorgi tramite Lelio Basso per l’elaborazione dell’articolo 3 della Costituzione, norma di carattere programmatico orientativa del nuovo testo costituzionale e quindi del futuro del paese. Gli azionisti costituiscono l'oggetto del saggio di Mariuccia Salvati nella prospettiva, dominante la storiografia, del non-partito e della impoliticità, di cui c’è anche un riflesso nella valutazione che Pombeni offre di Ferruccio Parri. In realtà costituirono una parte rilevante tanto della transizione quanto del futuro, a patto tuttavia di comprenderne storicamente la natura. Essa non era infatti quella di un movimento, ma di un progetto di partito alternativo a quelli ideologici di massa, che per tante ragioni prevalsero. È ciò che i politici, di professione o no, azionisti  – ci furono, eccome, nella Repubblica dei partiti, non a caso tenuta in gestazione da Parri e condotta a termine da Carlo Azeglio Ciampi – fecero. Intesero infatti secolarizzare le culture politiche alle quali approdarono o che fiancheggiarono -  da Ugo La Malfa a Parri, passando per Riccardo Lombardi. Riguardo all’egemonia, che era un dato di realtà, ciò che emerge con nettezza dai citati saggi di Marchi e di Galavotti è l’approdo liberale e pluralista della classe dirigente cattolica, anche in sotterraneo contrasto con le autorità ecclesiastiche e religiose, preoccupate principalmente di perpetuare quell’egemonia. 
Del resto quella classe dirigente, e in particolare De Gasperi  – talvolta in accordo proprio con esponenti azionisti, come nel caso  di Alberto Tarchiani – ebbe coscienza del nuovo quadro globale e delle via che consentivano di inserirvisi. Lo mostrano con efficacia i contributi di Antonio Varsori sul sofferto trapasso nel nuovo ordine internazionale, di Mauro Campus sull’inserimento nell’economia internazionale a partire dall’adesione agli accordi di Bretton Woods, di Giovanni Bernardini sull’accordo Gruber- De Gasperi e di Gabriele D’Ottavio circa il discorso sull’Europa. 

Subscribe to our newsletter

Partners