II, 2019/3

Pizzoli, Lucilla

La politica linguistica in Italia

Review by: Ivan Portelli

Authors: Pizzoli, Lucilla
Title: La politica linguistica in Italia. Dall’unificazione nazionale al dibattito sull'internazionalizzazione
Place: Roma
Publisher: Carocci
Year: 2018
ISBN: 9788843090938

Reviewer Ivan Portelli - Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia

Citation
I. Portelli, review of Pizzoli, Lucilla, La politica linguistica in Italia. Dall’unificazione nazionale al dibattito sull'internazionalizzazione, Roma, Carocci, 2018, in: ARO, II, 2019, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/3/la-politica-linguistica-in-italia-ivan-portelli/

PDF

Le scelte compiute da uno Stato in materia di lingua non sono molto diverse da quelle di un singolo individuo perché riguardano la capacità di comunicare e interagire e generano uno spettro piuttosto ampio di conseguenze e situazioni. Nel caso italiano, quella che da molti linguisti viene identificata come una politica del laissez faire "non è priva di conseguenze" (p. 13).

In generale lo studio della politica linguistica attuata dallo Stato, intesa come  ambito specifico, è relativamente recente (dalla metà del XX secolo). Parlare di politica linguistica significa incrociare il tema degli elementi identitari che, sulla scorta dell’elaborazione politica maturata già nel XIX secolo, vengono a definire lo Stato-nazione. Le diverse soluzioni adottate (dal sostanziale monolinguismo verso cui tende per esempio la Francia a situazioni molto più articolate) finiscono per incidere sul quotidiano delle persone e oggi si declinano in nuove prospettive sociali e politiche anche molto complesse. L’intervento statale, più o meno intenzionale, si intreccia con il fenomeno della standardizzazione di una lingua e con la maturazione e l'utilizzo di diverse varietà e codici linguistici (nella scuola, nella pubblica amministrazione come anche nell'uso quotidiano). La prospettiva dell’autrice è quella di delineare un percorso cronologico che porta necessariamente all’attualità, rilevando un fallimento delle politiche classiche di pianificazione linguistica davanti a nuovi fenomeni, legati in particolare agli idiomi dell’immigrazione. Oggi, da molti punti di vista, viene sottolineata la necessità di un reale plurilinguismo nel quale ogni lingua trovi maggior spazio e contribuisca all’arricchimento tanto del singolo quanto della comunità. In fondo, anche a livello internazionale, la lingua è considerata un diritto della persona.

Il volume propone principalmente una sintesi su un aspetto particolare della storia della lingua italiana - quello appunto dell’intervento dello Stato in materia - e cerca di tirare le fila di una messe di studi relativamente recenti, cogliendo proprio la complessità dei nessi e delle conseguenze dell’attuazione (o della non attuazione) di una politica linguistica. Per questo viene affrontata una serie di nodi tematici particolarmente significativi, colti ciascuno in una prospettiva diacronica e con frequenti rimandi interni, evidenziando le relazioni che la lingua intrattiene con i molteplici aspetti della società, della politica, dell’economia. Punto di partenza cronologico è la proclamazione del Regno d'Italia (1861), riconoscendo nello Stato unitario un soggetto istituzionale capace di affrontare il problema della lingua dello Stato/nazione (senza dimenticare che questo è un punto d’arrivo di percorsi anche molto differenziati).

Prima però di affrontare il caso italiano, l’autrice propone una messa a fuoco generale sulla politica linguistica (pianificazione, regolazione, intervento legislativo), utile per evidenziare ambiti e metodo dell’indagine proposta e, a seguire, un rapido sguardo su legislazione e politiche linguistiche internazionali.

Il soggetto principale dell’analisi è dunque l’azione dello Stato italiano nei confronti della lingua. Dall’esigenza dello Stato unitario di costruire un quadro linguistico comune – con tutte le immani difficoltà e le fragilità che quella legislazione e quell’azione hanno evidenziato –, passando per la politica decisamente più forte durante il fascismo, per sottolineare poi l’assenza di un riferimento esplicito nell’odierna Carta costituzionale all’italiano come lingua dello Stato (ma dandolo per scontato) e concludere con la legislazione sulle minoranze linguistiche ‘storiche’, senza dimenticare il problema delle nuove lingue.

Definito il quadro complessivo, vengono poi identificati alcuni nuclei tematici di approfondimento.

L’amministrazione di uno Stato ha bisogno di esprimersi e di comunicare. Vi è però uno iato tra una realtà di comunicazione veicolare (spesso legata alle varietà dialettali) e l’ufficialità, cancelleresca e amministrativa, di una lingua precisa (o di più lingue: nel Parlamento piemontese erano considerate ufficiali l’italiano e il francese). La lingua dell’amministrazione, che può discostarsi da quella parlata come da quella letteraria, diventa quasi una varietà autonoma, come ha sottolineato Italo Calvino, un’'anti-lingua'. L’autrice riporta poi, a titolo esemplificativo, una serie piuttosto ampia di situazioni che finiscono per descrivere anche l’evoluzione storica della lingua e della politica; si pensi a oggetti particolari come l’onomastica privata o la toponomastica pubblica che hanno subito nel tempo cambiamenti che risultano indicativi di sensibilità particolari: e di nuovo si nota la volontà dello Stato fascista di intervenire pesantemente in materia. Recentemente sono emerse esigenze di semplificazione linguistica (testi delle leggi, documenti della pubblica amministrazione ecc.) e inoltre l’amministrazione pubblica si sta confrontando con il riconoscimento di un reale plurilinguismo. Nel corso del Novecento dal purismo nazionalistico fascista, che rifiutava decisamente ogni ingerenza ritenuta non italiana, si è giunti, non senza persistenze della legislazione del Ventennio, all’attenzione verso gli idiomi radicati storicamente sul territorio (attraverso provvedimenti specifici di riconoscimento e tutela) e, più recentemente, verso le nuove lingue legate ai fenomeni migratori.

Un punto rilevante è la politica linguistica attuata nella scuola, che a ben vedere dovrebbe essere uno degli ambiti in cui le scelte di politica linguistica  dovrebbero manifestarsi in maniera più evidente: "gli interventi nell'ambito dell'educazione linguistica rappresentano uno dei più significativi mezzi di cui dispone il governo nazionale per orientare i cittadini verso una determinata competenza linguistica"(p. 139). La politica scolastica dello Stato postunitario deve superare l’analfabetismo ancora molto diffuso e fornire al tempo stesso un quadro linguistico unitario. Le linee indicate da Manzoni al ministro Broglio costituiscono il fondamento per l’insegnamento dell’italiano, prospettando elementi di una pianificazione linguistica. La lotta scolastica contro l’analfabetismo, che ha visto in Italia molte difficoltà anche di ordine sociale, si lega a lungo anche a una sorta di lotta contro il dialetto e, con la riforma Gentile, anche delle lingue diverse dall’italiano presenti soprattutto nelle nuove province (tedesco, sloveno e croato). La rapida ma puntuale ricostruzione della legislazione scolastica italiana arriva fino all’oggi, momento in cui emerge una nuova pluralità linguistica della quale la scuola deve tenere conto. Viene evidenziato anche il problema della scarsa diffusione della conoscenza dell’inglese e delle altre lingue straniere, cui il sistema scolastico italiano solo recentemente sta cercando di porre un sostanziale rimedio, con scelte e strumenti non sempre efficaci.

Lo sguardo dell’autrice si rivolge poi alle politiche di diffusione e valorizzazione dell’italiano all’estero attraverso la presenza di scuole e di istituzioni culturali che non sono rivolte soltanto ai connazionali emigrati ma che si profilano anche quali interventi riconducibili a una generale politica di promozione culturale.

Conclude l’analisi un capitolo dedicato ad altri soggetti ‘pubblici’ che attuano politiche linguistiche: Chiesa, mass media, istituti culturali. Viene rivolto uno sguardo forse troppo rapido a queste realtà che solo in parte vanno oltre i confini delle istituzioni statali. Indubbiamente la Chiesa cattolica ha sviluppato sensibilità e situazioni particolari: l’autrice si sofferma in particolare sulle esigenze missionarie e sulla riforma liturgica del Concilio Vaticano II con il passaggio dal latino alle lingue volgari. Anche il ruolo dei mass media, radio, cinema e televisione è stato decisivo per la standardizzazione della lingua parlata ed è divenuto oggetto, il più delle volte indiretto e implicito, di politiche linguistiche.

Subscribe to our newsletter

Partners