Reviewer Raffaella Perin - Università Cattolica
CitationNel suo nuovo libro, Mauro Pesce, uno dei massimi studiosi italiani del cristianesimo antico, fa il punto su alcune ipotesi interpretative circa il rapporto tra la religione che "non nasce con Gesù" ma che in lui riconosce il Messia e la modernità scientifica. Una "relazione complessa" che può costituire una chiave di lettura della storia del cristianesimo con picchi di particolare intensità tra Cinquecento e Seicento e poi di nuovo tra Ottocento e Novecento.
Al centro dell’analisi si pone la questione dell’impatto della modernità sul cristianesimo antico e medievale. Lo studioso bolognese (di adozione) avanza l’ipotesi che la modernità si sia posta come un sistema simbolico alternativo a quello cristiano antico, che a sua volta aveva rappresentato un sistema simbolico alternativo a quello della società greco-romana. Le basi su cui poggiava la società premoderna (la Bibbia cristianizzata, la visione astronomica tolemaica e una narrazione della storia del mondo come una historia salutis) vengono messe in discussione da alcuni fattori culturali che, sebbene non si presentino tutti insieme, concorrono a rimettere in discussione la figura storica di Gesù e a proporre una ridefinizione del cristianesimo (o a questo punto dei cristianesimi). Il primo di questi fattori è l’Umanesimo che inaugura la riscoperta dei testi classici nella loro lingua originale. La lettura filologica della Bibbia ne è una inevitabile conseguenza, anch’essa frutto dell’esigenza moderna di conoscenza razionale. Nacquero così le scienze religiose, tra le quali ricopre un posto di primo piano la storia del cristianesimo, una "disciplina storica" che per essere tale deve possedere un sistema concettuale autonomo rispetto alla teologia, "la quale per definizione è solo confessionale" (p. 77). Gli esiti della scienza moderna ebbero un riverbero sugli studi del cristianesimo delle origini, in modo particolare sulla ‘riscoperta’ della ebraicità di Gesù, un punto di partenza indispensabile per ricostruire la figura storica del nazareno. Anche la lettura e l’analisi delle Scritture subiscono un cambiamento di prospettiva: l’idea di ‘Antico’ Testamento, che presuppone la separazione tra cristianesimo e giudaismo ed è sostanzialmente un tentativo di sottrarre agli ebrei le Scritture necessario per concepire la Chiesa come entità distinta, viene sostituita con quella più neutra di Primo Testamento o più semplicemente con il termine "Scritture". Inoltre, sottolinea l’autore, la presenza ebraica nell’intellighenzia europea tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo costituì un importante contributo alla collocazione di Gesù nell’ambito delle numerose correnti giudaiche del I secolo.
Il secondo dirompente fattore indicato da Pesce è la Riforma protestante, che rompe la continuità e l’apparente unità del cristianesimo medievale. Il concetto di eretico e di eresia è infatti un altro tema nodale del libro. La ricerca storica ha ormai appurato la presenza di una pluralità di gruppi con pratiche e idee religiose differenti all’interno del cristianesimo delle origini. Pesce precisa che l’idea di una unità originaria del cristianesimo nasce da una scorretta interpretazione degli Atti degli Apostoli. Il concetto di eresia sorse nel II secolo quando il cristianesimo maggioritario cominciò a isolare dottrine non condivise dall’autorità ecclesiastica, una prassi che si radicò nella storia del cristianesimo. È chiaro che nell’epoca della Riforma e del Concilio di Trento per la Chiesa di Roma divenne centrale la lotta contro l’eresia, cui autori come Cesare Baronio tentarono di opporre una storia della Chiesa che, in quanto ancilla theologiae, la difendesse dalle tesi protestanti.
Il terzo fattore individuato dall’autore è la nascita della scienza moderna. La Bibbia smette di essere l’unica fonte di verità su cui la cultura tradizionale basava la conoscenza in qualsiasi campo del sapere. Ad avvalorare l’influenza che la scienza moderna ha esercitato nel mutamento del cristianesimo Pesce ripropone uno dei suoi più importanti studi, quello sulla Lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana di Galileo Galilei (scritta nel 1615), dedicata al rapporto tra conoscenza scientifica ed esegesi biblica. In essa, spiega lo storico, "Galileo propone l’accettazione della possibilità di convivenza tra modernità e religione" in quanto riconosce l’autorità della Scrittura in campo religioso mentre rivendica come oggetto della scienza umana tutto ciò che può essere dimostrato attraverso procedimenti conoscitivi empirici. La rivoluzione copernicana sconvolse l’ordine tolemaico, una visione cosmologica nella quale tutte le concezioni biblico-cristiane erano state inserite coerentemente. Si sgretolava così, osserva l’autore "nel XVII secolo il rapporto sistemico tra sacro, potere del sovrano e territorio" (p. 34).
Il magistero ecclesiastico tardò a recepire la proposta galileiana di accordo tra religione e scienza. La crisi modernista dei primi anni del Novecento, i cui prodromi risalivano però a qualche decennio prima, riportò all’ordine del giorno all’interno della Chiesa cattolica la necessità dell’apporto delle scienze filologiche e storiche nello studio del cristianesimo. Nel frattempo, un altro mutamento epocale sopraggiunse, ovvero la costituzione di entità statali basate sui diritti dell’uomo, tra i quali la libertà religiosa. La separazione del potere politico da quello religioso è un altro dei fattori che hanno concorso a rendere tormentato il rapporto del cristianesimo con la modernità almeno fino al secondo dopoguerra. Come ha scritto Pesce, "il cristianesimo però non scomparve ma assorbì la modernità e ne fu assorbito" (p. 45).