Reviewer Teresa Malice - Università di Bologna
CitationNel 1937 la Società delle Nazioni definiva "terrorismo" l’insieme dei fatti criminali diretti contro lo Stato, il cui scopo era di provocare terrore nella popolazione o in gruppi di persone. I terroristi erano, in sostanza, coloro che attentavano alla sicurezza della nazione e dei suoi cittadini, agendo al di fuori del perimetro della legalità delineato dallo Stato stesso. A decenni di distanza, il dibattito su come caratterizzare il fenomeno divide ancora studiose e studiosi. In quella definizione embrionale, tuttavia, erano già presenti alcune problematicità sul piano interpretativo. La prima legata all’espressione stessa, pensata a principio nell’alveo delle strutture statali e sovrastatali e perciò riflettente una prospettiva istituzionale; la seconda al fatto che la costruzione del terrorismo poneva il problema dell’individuazione di una risposta da parte dello Stato stesso. Per le democrazie, la sfida fondamentale fu cercare costantemente un equilibrio, nell’antinomia tra il rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali, e la loro difesa, e il disciplinamento sociale; tra la libertà e la sicurezza.
È quest’ultimo problema a costituire l'elemento propulsivo del bel volume di Laura Di Fabio, esito del suo lavoro di ricerca di dottorato, condotto in cotutela tra l’Università di Roma Tor Vergata e quella di Münster. Il perno è rappresentato dall’antiterrorismo, definito come "lotta contro quelle forme di violenza politica armate, praticate nella clandestinità e con mezzi militari, con l’obiettivo politico di portare lo scontro ai massimi livelli" (p. 8). Sullo sfondo è l’Europa bipolare; al centro dell’analisi si collocano due democrazie costituzionali dell’Europa occidentale, l’Italia e la Repubblica federale tedesca, nonché la loro reazione securitaria alla minaccia sociale rappresentata dai gruppi del terrorismo ideologico di estrema destra e di estrema sinistra, nel torno d’anni tra il 1967 e il 1986.
In sede introduttiva Di Fabio problematizza subito, in modo convincente, la questione terminologica: la variegata galassia delle formazioni estremiste – dalla RAF ai gruppi neonazisti in Germania, dalle Brigate Rosse a Ordine Nuovo in Italia – veniva suddivisa sulla base delle forme di lotta, per questioni tecnico-organizzative, ma nel complesso era "… percep[ita], … interpreta[ta], … rielabora[ta] e … propaganda[ta] come terrorismo o terrorismi" (p. 9), senza particolari distinzioni. In quel modo, viene sostenuto, lo Stato aspirava a depotenziare la violenza politica armata, negandole legittimità e riducendola a un fenomeno indistinto.
Il lavoro è strutturato in quattro capitoli. Nel primo l’autrice mette a confronto Italia e Repubblica federale tedesca ripercorrendone la storia politica tra la fine del Secondo conflitto mondiale e i conflitti sociali degli anni Sessanta/Settanta ed evidenziando similitudini – su tutte il passato nazista e fascista e lo sforzo per la "costruzione di una cultura democratica della società" (p. 2) – e differenze, ravvisabili soprattutto nei sistemi giuridici e nelle culture politiche, nelle concezioni della sicurezza e nell’organizzazione interna delle forze di polizia. Il secondo capitolo è incentrato sulla propaganda dei governi, sulle discussioni tra i partiti dell’arco costituzionale riguardo alle leggi antiterrorismo, e sulla ricezione di queste discussioni nell’opinione pubblica. Di Fabio rileva significative diversità tra i due paesi sul piano legislativo e su quello del discorso securitario. Questi primi capitoli appaiono come contesti ragionati, quasi preparatori agli ultimi due, che costituiscono il cuore della ricerca e sono dedicati, rispettivamente, alle strategie operative delle polizie e al loro coordinamento bilaterale e sovranazionale. Nel terzo capitolo vengono sviscerati i temi della sorveglianza e dell’intelligence, il cui sviluppo si lega anche all’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici; in Italia, più che in Germania, sono i militari ad occuparsene. Nell’ultimo capitolo, infine, la studiosa approfondisce la cooperazione tra i due paesi, nonché la rete europea intessuta come più ampia risposta al terrorismo.
È proprio questa dimensione transnazionale, peraltro in ascesa negli studi sul terrorismo, a costituire uno degli aspetti più interessanti e innovativi del volume. Sul piano metodologico, tale prospettiva ha suscitato accesi dibattiti; ci si è chiesti fino a che punto, al di là del trend storiografico, sia possibile scrivere una storia sinceramente relazionale, fondata su scambi, contaminazioni, flussi ed effettiva condivisione dei saperi. In questo caso il periodo storico, il tema e le fonti si prestano a tale operazione, e Laura Di Fabio riesce nel difficile compito di andare oltre la comparazione – una comparazione “per contrasto” (p. 2), che pure costituisce il solido sfondo del suo lavoro – spingendo l’analisi a un livello successivo e documentando un transfer di competenze e una progressiva collaborazione (una sorveglianza comune) tra i corpi di polizia, in seno a un’Europa occidentale crescentemente interconnessa. Su tutti spicca l’esempio di Francesco Cossiga, che dopo aver visitato la Germania Ovest nel 1974 rimase colpito dalle GSG-9 tedesche, teste di cuoio per operazioni antiterrorismo e ne propose un modello simile in Italia.
Un tale approccio è nuovo e necessario, e si basa su una per nulla scontata conoscenza profonda dei contesti politico-sociali, delle lingue e delle letterature, nonché degli archivi e delle fonti dei due paesi. Di Fabio, che possiede questo bagaglio culturale, ha intersecato diversi piani, riuscendo a suscitare interessanti riflessioni sulla definizione dei nemici dello Stato, sulle trasformazioni negli apparati di pubblica sicurezza e sul rapporto di questi ultimi con le società italiana e tedesca – attraverso il prisma della lotta al terrorismo osservata da due punti prospettici. Questi temi, peraltro, sono ancora di scottante attualità nel discorso degli Stati nazionali, e nel loro processo di ridefinizione all'interno del mondo globalizzato.
Sarebbe stato forse auspicabile approfondire ulteriormente alcuni interessanti spunti argomentativi, che soprattutto nei primi due capitoli risultano a tratti sospesi, pur in favore di una narrazione scorrevole, esaustiva e particolareggiata. Allo stesso modo i riferimenti alle e la contestualizzazione delle formazioni terroristiche è presente nel testo, ma in modo spesso puntiforme. A questo proposito avrebbe giovato, soprattutto ai non specialisti, una più chiara definizione e sistematizzazione dei gruppi e delle loro differenze ideologiche già in sede introduttiva: sebbene il focus sia sulle polizie e sulle politiche della sorveglianza, ci si sarebbe attesi una premessa, per quanto snella, sugli attori coprotagonisti di questa narrazione. Ma questo è al tempo stesso il pregio della ricerca, che si differenzia dalla gran parte dei lavori esistenti in Italia e in Germania proprio per tale ribaltamento di prospettiva.