II, 2019/3

Domenico Cecere, Chiara De Caprio, Lorenza Gianfrancesco, Pasquale Palmieri (eds.)

Disaster Narratives in Early Modern Naples

Review by: Michele Lodone

Editors: Domenico Cecere, Chiara De Caprio, Lorenza Gianfrancesco, Pasquale Palmieri
Title: Disaster Narratives in Early Modern Naples. Politics, Communication and Culture
Place: Roma
Publisher: Viella
Year: 2018
ISBN: 9788867286454
URL: link to the title

Reviewer Michele Lodone - Università Ca' Foscari Venezia

Citation
M. Lodone, review of Domenico Cecere, Chiara De Caprio, Lorenza Gianfrancesco, Pasquale Palmieri (eds.), Disaster Narratives in Early Modern Naples. Politics, Communication and Culture, Roma, Viella, 2018, in: ARO, II, 2019, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/3/disaster-narratives-in-early-modern-naples-michele-lodone/

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"It is predicted that there is a 70 percent possibility of an earthquake directly hitting Tokyo within the next 30 years. Are you prepared?". Con questo appello si apre la presentazione di Disaster Preparedness Tokyo (Toukyou Bousai), il manuale di oltre trecento pagine recentemente pubblicato dall’amministrazione metropolitana di Tokyo per preparare i cittadini, nel modo più chiaro ed efficace possibile, ad affrontare il prossimo terremoto che colpirà la città [1]. Fatte le debite differenze, oggi come ieri la prevenzione e le contromisure pratiche sono inevitabilmente legate alla narrazione e alla spiegazione dei disastri naturali. Oggi come ieri, l’impatto materiale del disastro non è mai disgiunto dalle sue ripercussioni sociali. Da ciò deriva l’interesse e forse anche l’utilità del confronto con il passato, come notano i curatori dell’elegante volume edito da Domenico Cecere, Chiara De Caprio, Lorenza Gianfrancesco e Pasquale Palmieri, e dedicato alle risposte politiche e culturali alle minacce ambientali nella Napoli della prima Età moderna.

Insieme all’instabilità politica e alle invasioni straniere, i disastri naturali sono stati spesso considerati un ‘carattere originale’ della storia dell’Italia meridionale. Ad essi, tuttavia, si è guardato il più delle volte da una prospettiva parziale, fondata sullo sguardo esterno – o comunque mediato – di filosofi, scienziati, artisti e viaggiatori. Un ottimo modo per mettere in discussione questo ritratto più o meno consapevolmente negativo del Sud della penisola, consiste nella lettura delle fonti interne alle comunità (comunità sociali e politiche, emotive e testuali) che vissero tali disastri. Fonti diverse per livelli di cultura, prossimità ai vertici delle istituzioni statali e religiose, funzione e destinatari, la cui ricchezza può emergere a pieno solo da un’analisi aperta e interdisciplinare. A questa esigenza rispondono felicemente i saggi raccolti in Disaster Narratives in Early Modern Naples.

La prima delle quattro sezioni in cui è suddiviso il volume è dedicata a configurazioni testuali, strutture narrative e lessico, e si apre con un saggio di Chiara De Caprio (Narrating Disasters: Writers and Texts Between Historical Experience and Narrative Discourse, pp. 19-40), che discute gli strumenti teorici e analitici elaborati dalla storiografia più recente, mettendoli alla prova attraverso un accurato confronto tra cronache manoscritte e ‘relazioni’ a stampa. Nonostante le differenze, i due generi presentano alcuni importanti tratti comuni (ad esempio la duplice funzione narrativa e informativa, o il legame tra testimonianza personale e narrazione stessa). Le relazioni, tuttavia, si distinguono per una strategia peculiare e solo apparentemente contraddittoria, volta a suscitare nel lettore ora distanza critica e valutazione razionale, ora sbigottimento ed empatia. Il rapporto tra le diverse finalità – informativa, apologetica, drammatizzante ecc. – dei testi, e le relative scelte sintattiche e stilistiche è affrontato poi da Rita Fresu 'The Water Ran with Such Force'. The Representation of Floods in the Early Modern Era: Textual Configurations, Conceptual Models, Linguistic Aspects, pp. 73-89), che si concentra su avvisi, relazioni e trattati riguardanti le inondazioni del Tevere del 1530 e del 1598, ponendo in risalto la costante centralità del contesto pragmatico-funzionale. Anche Francesco Montuori (Voices of the 'totale eccidio': On the Lexicon of Earthquakes in the Kingdom (1456-1784), pp. 40-72) sottolinea la pluralità delle configurazioni testuali provocate dai disastri e delle loro relative funzioni, mostrando il ruolo chiave degli aneddoti – dei piccoli eventi che drammatizzano la narrazione – e delle scelte lessicali. Queste ultime sono analizzate da una prospettiva diacronica, che pone in evidenza l’asincronia tra la storia delle cose e quella delle parole usate in riferimento ai danni subiti dagli edifici ("aperti", "caduti", "guasti", "spianati" ecc.); al terremoto stesso (o "terramuto", o, ancora, "tremoliccio", termine dal quale emerge più chiaramente il riferimento all’oscillazione), che, talvolta "viene" e talvolta "passa". Il termine "disastro", del resto, comincia ad essere associato a una distruzione generale e collettiva solo a partire dal Cinquecento, mentre nei decenni precedenti è utilizzato per lo più nell’accezione di incidente o evento imprevisto (come nel bel passaggio dei Ricordi di Loise de Rosa citato a p. 64: "Yo passo per una piaccza et cade una casa et amacchame: dove èy lo libbero arbitrio, che nde èy fatta una piccza de me? Nota, figlio mio. Per chiste disasstre o infurtunie che socczedeno arcune fiate, che l’omo no lle pò penczare, esforczate senpre stare bene con Dio, cha te confiesse").

La seconda sezione del volume mette a fuoco le risposte e le contromisure adottate dalle comunità colpite da terremoti o pestilenze. Anzitutto L’Aquila, che prima del 2009 subì altri gravi eventi sismici: a tre di essi – verificatisi nel 1315, 1349 e 1461-1462 – è dedicato il contributo di Pierluigi Terenzi (Earthquakes, Society and Politics in L’Aquila in the Fourteenth and Fifteenth Centuries, pp. 93-108). Sulla base di alcune fonti cronachistiche (tra le quali la Cronica in versi di Buccio di Ranallo), Terenzi esamina l’intreccio tra spiegazioni politiche e religiose degli eventi, la loro parziale convergenza nell’opera di pacificazione tra le fazioni cittadine, e le scelte insieme materiali e simboliche adottate dalle istituzioni locali per affrontare l’emergenza e favorire la (lenta) ricostruzione. Sul complesso rapporto di negoziazione tra governo centrale e aree periferiche si concentra invece, avvalendosi di un ampio e accurato scavo archivistico, Francesco Senatore (Survivors’ Voices: Coping with the Plague of 1478-1480 in Southern Italian Rural Communities, pp. 109-126). Al centro dell’intervento di Senatore si colloca una tipologia di fonte peculiare: le petizioni rivolte al re dalle comunità rurali a rischio di "depopulatione" (o "descasamento"), che pongono sotto una luce nuova le misure di governance – eccezionali e segrete – dell’amministrazione centrale, disposta di norma a concedere una riduzione della pressione fiscale in cambio della certezza e regolarità del pagamento.

Sulla dimensione comunicativa è incentrata la terza sezione, aperta da un saggio di Domenico Cecere (Moralising Pamphlets: Calamities, Information and Propaganda in Seventeenth-Century Naples, pp. 129-145), che studia la narrazione/discussione sui disastri come un esempio di sfera pubblica congiunturale e polifonica, nella quale competono autorità e forze sociali diverse. Il saggio si fonda su una ricca messe di relazioni, ragguagli, discorsi e altri testi (in latino, italiano e castigliano) riguardanti i terremoti che colpirono il Gargano (1627), la Calabria (1638) e Benevento e il Sannio (1688). Nell’ultimo caso, Cecere rileva la maggiore insistenza sull’elemento penitenziale e espiatorio e la maggior omogeneità di alcuni espedienti narrativi (aneddoti edificanti, elementi miracolosi) che vanno a discapito del valore informativo dei testi stessi.

Al comune linguaggio metaforico, associato all’eversione dell’ordine naturale e politico, nonché riferito a tre eventi chiave della storia napoletana – l’eruzione del Vesuvio del 1631, la rivolta di Masaniello (1647) e lo scoppio della peste nel 1656 –, è dedicato il contributo di Giancarlo Alfano (The Portrait of Catastrophe: The Image of the City in Seventeenth-century Neapolitan Culture, pp. 147-161), che offre un efficace raccordo con i due saggi seguenti di Lorenza Gianfrancesco (Narratives and Representations of a Disaster in Early Seventeenth-century Naples, pp. 163-186) e Silvana D’Alessio (On the Neapolitan Plague of 1656: Expedients and Remedies, pp. 187-204). Gianfrancesco analizza il dibattito politico seguente al’eruzione del 1631, unanime nel ritenere "l’accensione del Vesuvio" un segno della necessità di un mutamento, ma aperto alle più svariate opinioni sull’eventualità di promuovere tale mutamento nel presente (o di attenderlo in un imprecisato futuro escatologico), e sull’atteggiamento critico nei confronti delle "rubberie" e "ingiustitie" del governo spagnolo, o ossequioso verso le autorità costituite. D’Alessio si concentra invece sull’epidemia del 1656, ponendo in evidenza le differenti strategie adottate dalle autorità per far fronte all’emergenza, il diffondersi a tutti i livelli sociali dei sospetti contro gli ‘untori’ – identificati ora con emissari del governo spagnolo, ora con forestieri e «poveracci» di vario tipo –, nonché lo sviluppo del discorso medico, variamente ricettivo delle teorie del contagio, e non sempre concorde sui rimedi chimici e, soprattutto, logistici opportuni per evitarlo.

A una lettura religiosa dei disastri è dedicata la quarta e ultima sezione, nella quale Pasquale Palmieri (Protecting the Faithful City: Disasters and the Cult of the Saints (Naples, 1573-1587), pp. 207-220) si concentra sulla letteratura agiografica. In essa emerge, come attraverso uno specchio distorto, il tema ricorrente dei disastri naturali, inteso come uno strumento per assicurare l’obbedienza alle autorità politiche ed ecclesiastiche attraverso la tranquillizante garanzia della protezione divina (che rappresenta l’altra faccia della medaglia di ogni pastorale della paura e del castigo [2]). La complessa relazione tra culto dei santi e minacce ambientali rappresenta un campo d’indagine particolarmente vivo [3], così come stimolante è la pista tracciata da Giovanni Gugg (The Missing Ex-Voto: Anthropology and Approach to Devotional Practices during the 1631 Eruption of Vesuvius", pp. 221-238), che spiega la preponderanza di processioni e rituali pubblici, in occasione di eventi collettivi per eccellenza come i disastri, a fronte di una relativamente scarsa frequenza del ricorso all’ex-voto (espressione di una pietà più individuale). Se potevano affiancare i medici in occasione di epidemie di ogni tipo, in un regime di pluralismo terapeutico non privo di aspetti conflittuali, i santi potevano fare altrettato con scienziati e filosofi che tentavano di spiegare terremoti o eruzioni su basi naturali. Tra spiegazione naturale e spiegazione religiosa, tuttavia, l’alternativa era e restava zoppa. Come scrisse Gherardo Ortalli, "l’eventuale naturalità di svolgimento dei fatti non basta ... a dare certezza della naturalità dell’evento complessivo ...; se certamente è segno divino, 'prodigialis', quanto avviene contro o sopra natura, con altrettanti titoli può esserlo, in ultima analisi, quanto capita, in prima istanza, secondo natura" [4].

 

 

[1] Il manuale è disponibile on-line: <http://www.metro.tokyo.jp/english/guide/bosai/index.html>. Ha dato risalto all’iniziativa D. Hurst, "This is not a 'what if' Story": Tokyo Braces for the Earthquake of a Century, in "The Guardian", 12 giugno 2019 (<https://www.theguardian.com/cities/2019/jun/12/this-is-not-a-what-if-story-tokyo-braces-for-the-earthquake-of-a-century>), cui fa riferimento L’attesa del grande terremoto a Tokyo, in "IlPost", 29 giugno 2019 (<https://www.ilpost.it/2019/06/29/grande-terremoto-tokyo/>).

[2] Si veda B. Dompnier, Pastorale de la peur et pastorale de la séduction. La méthode de conversion des missionnaires capucins, in La conversion au XVIIe siècle, in Actes du Colloque du C.M.R. 17, Marseille, Centre Méridional de Rencontres sur le XVIIe siècle, 1983, pp. 257-273.

[3] Cfr. M. Azzolini, Coping with Catastrophe. St Filippo Neri as Patron Saint of Earthquakes, in «Quaderni Storici», 52, 2017, pp. 727-750.

[4] G. Ortalli, “Corso di natura” o “giudizio di Dio”. Sensibilità collettiva ed eventi naturali, a proposito del diluvio fiorentino del 1333 , in G. Ortalli (ed) Lupi genti culture. Uomo e ambiente nel medioevo, Torino, Einaudi, 1997 (1a ed. 1979), pp. 155-188, qui 171-172.

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