Reviewer Filippo Focardi - Università di Padova
CitationIl 18 ottobre 2013 il Tribunale militare di Roma condannava all’ergastolo in contumacia il caporale della Wehrmacht Alfred Störk, responsabile di aver preso parte alla fucilazione di oltre cento ufficiali italiani il 24 settembre 1943 sull’isola greca di Cefalonia. La sentenza ha chiuso l’”ultima straordinaria stagione processuale” (p. 35) condotta in Italia contro soldati tedeschi responsabili, fra il settembre 1943 e il maggio 1945, di crimini di guerra ai danni di migliaia di civili e militari italiani. Iniziata nella seconda metà degli anni Novanta con il processo contro l’ufficiale delle SS Erich Priebke e alimentata dal ritrovamento dei fascicoli di indagine arbitrariamente archiviati in Italia nel 1960, tale stagione è stata caratterizzata dall’intenso lavoro sulle stragi svolto in concomitanza sia dagli storici (in particolare da Paolo Pezzino e dai suoi allievi) sia dalla magistratura militare italiana, con una proficua collaborazione che ha reso possibile un’ondata di processi – per lo più in contumacia – che hanno portato alla condanna di molti responsabili di stragi rimaste a lungo impunite, fra le quali la più sanguinosa di tutte, quella di Cefalonia.
Il libro è il terzo di una collana di dieci volumi diretta da P. Pezzino e M. De Paolis, finanziata dalla Regione Toscana e ideata dall’Istituto nazionale della Resistenza in occasione del 70° anniversario della Liberazione, con lo scopo di mettere a disposizione del pubblico i risultati principali di questa stagione di intenso lavoro storiografico e giudiziario. Come gli altri della collana, il volume risulta suddiviso in tre parti: la prima affidata ad uno studioso, in questo caso la storica Isabella Insolvibile, che ripercorre la storia della strage di Cefalonia e della sua memoria postbellica ("Cefalonia: la storia, la memoria", pp. 7-34); la seconda ricostruisce invece il “tormentatissimo” iter giudiziario della vicenda per mano del suo protagonista principale, il procuratore militare Marco De Paolis ("Cefalonia: l’indagine, il processo", pp. 35-85), cui si deve l’istruzione di un gran numero di procedimenti penali fra cui quello relativo a Cefalonia conclusosi nel 2013; la terza parte contiene infine una ricca selezione di materiale documentario tratto dalle indagini e dai processi ("Documenti", pp. 87-201).
Studiosa di importanti episodi della Resistenza italiana nelle isole dell’Egeo, come quello di Kos, culminati in eccidi perpetrati dalla Wehrmacht e già consulente delle procure militari di Napoli e di Roma in procedimenti relativi a stragi tedesche, Insolvibile traccia una sintesi puntuale dell’eccidio di Cefalonia, considerato una “vera e propria punizione di massa” (p. 26) con le caratteristiche di “strage terroristica e preventiva” (p. 27), finalizzata cioè a impartire una lezione esemplare agli italiani. Contestando la diffusa retorica dell’oblio che dipinge Cefalonia come una strage dimenticata o rimossa, l’autrice. la definisce piuttosto come “una delle vicende più narrate, elaborate, interpretate e dunque strumentalizzate dell’intera storia dell’Italia contemporanea” (p. 28), paragonabile alla vicenda delle Fosse Ardeatine. Un’osservazione del tutto corretta, da precisare solo rilevando l’impennata delle pubblicazioni sull’argomento nel primo decennio del nuovo secolo, dopo la “riscoperta” di Cefalonia seguita alla visita sull’isola nel 2001 del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e la sua conseguente trasformazione in uno dei principali “luoghi della memoria” della Repubblica (mentre, non a caso, era ancora assente nei tre volumi dedicati ai luoghi della memoria italiani curati per Laterza da Mario Isnenghi nel 1996/1997). Nonostante tanta attenzione (soprattutto recente), come rileva giustamente l’autrice, “manca ancora un lavoro storiografico che affronti complessivamente anche la sola ricostruzione degli eventi tenendo conto della doppia prospettiva, italiana e tedesca” (nota 55, p. 28). Non soddisfano infatti tale prospettiva né il pur ottimo lavoro di Hermann Frank Meyer, Il massacro di Cefalonia e la 1a Divisione da montagna tedesca (Udine, Gaspari, 2013) basato su fonti tedesche, né l’ultimo lavoro di Elena Aga Rossi (Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito (Bologna, Il Mulino, 2016), che si affida esclusivamente a fonti italiane.
Anche il discorso sulla memoria di Cefalonia viene descritto da Insolvibile come “complicato, e in gran parte irrisolto” (p. 29), segnato dalla tensione fra il polo della memoria ufficiale, istituzionale, che celebra pomposamente i caduti di Cefalonia come martiri ed eroi della Patria e la memoria invece “disomogenea, contrapposta, anzi quasi interamente frantumata” (ibidem) dei familiari delle vittime. Una “contrapposizione memoriale” (p. 30) che l’autrice riconduce alla “giustizia negata” e alle relative, gravi, responsabilità dello Stato italiano.
È qui che si innesta la seconda parte del volume, dedicata all’accidentato percorso della giustizia, ricostruito dal procuratore Marco De Paolis, cui spetta il merito – come capo della procura militare di Roma - di aver portato in giudizio e condannato nel 2013 il caporale Störk, nell’unico processo mai celebrato in Italia sui fatti di Cefalonia, a distanza di oltre cinquant’anni dal giudizio espresso nel 1948 da una corte americana a Norimberga contro i generali Lanz e Speidel (condannati rispettivamente a 12 e 20 anni di reclusione, ma liberati già nel 1951).
Piuttosto che l’autocompiacimento personale, prevale in De Paolis un giudizio “desolatamente sconfortante” sull’esito finale (una singola condanna in contumacia) che rivela “l’insuccesso di una giustizia più e più volte negata, e quindi assente” (p. 58). La vicenda giudiziaria di Cefalonia risulta in effetti esemplare per capire le complesse ragioni di un’impasse che ha riguardato più in generale la punizione dei crimini di guerra tedeschi commessi contro italiani e italiane durante la Seconda guerra mondiale. De Paolis ne ricostruisce le diverse fasi in Italia e in Germania. Qui l’avvio e la rapida chiusura delle indagini negli anni Sessanta presso le procure di Dortmund e di Monaco dopo la denuncia di Simon Wiesenthal e la riapertura del procedimento presso le stesse due procure all’inizio degli anni Duemila a seguito di denunce apparse sulla stampa tedesca, con definitiva chiusura dell’indagine per prescrizione del reato. Una decisone presa non sussistendo, per la giustizia tedesca, circostanze aggravanti, quali crudeltà o abiezione, nell’omicidio degli italiani poiché negli ex-camerati gli uomini della Wehrmacht avrebbero ravvisato non dei “normali” prigionieri di guerra bensì dei “traditori” meritevoli di morte. De Paolis esprime un giudizio molto critico nei confronti di questa decisone della giustizia tedesca (di cui elogia però la collaborazione ricevuta per le sue indagini, soprattutto da parte del procuratore di Dortmund, Ulrich Mass). Ma egli è ancor più critico con la giustizia italiana, in particolare nei confronti della figura del suo predecessore alla Procura militare di Roma, Antonino Intelisano, il quale nel 1996 aveva deciso di archiviare il fascicolo su Cefalonia rinvenuto due anni prima nel cosiddetto “armadio della vergogna”. Una scelta che l’autore non esita a definire “né comprensibile, né condivisibile” (p. 69). Solo molti anni più tardi, nel 2007, spinto dall’eco mediatica delle indagini svolte in Germania e sotto la pressione di alcuni appassionati giornalisti (Franco Giustolisi) e familiari delle vittime (Marcella De Negri), Intelisano avrebbe riaperto un procedimento anche in Italia. Ma ormai il tempo era pressoché scaduto. Resta la pur tardiva condanna di un caporale, reo di aver fatto parte di un plotone di esecuzione obbedendo a un ordine manifestamente criminale, un atto di giustizia – conclude De Paolis - “utile nella duplice chiave di deterrente per i criminali di guerra e di modello etico per gli attuali e i futuri soldati” (p. 85).