Reviewer Alessandro Paris - FBK-ISIG
CitationAgli ambasciatori francesi del sovrano Francesco I Valois residenti presso la Serenissima nella prima metà del Cinquecento è dedicato il volume di Guillaume Alonge, recente biografo di Federico Fregoso e studioso degli ambienti dell'evangelismo francese. Si tratta – come evidenzia l’autore (p. 81) – di uomini dalle ampie vedute politiche e religiose, “… disponibili ad attraversare frontiere culturali e religiose prima ancora che politiche e geografiche, individui capaci di adattamento, simulazione e comprensione per usi e costumi altrui …”. Essi gestiscono una rete di informatori e sostenitori della politica transalpina nella penisola: un’Italia del re Cristianissimo, che fa da contraltare all’Italia legata alla corte imperiale degli Asburgo. Nel ricostruire i loro profili, Alonge riserva particolare attenzione al contesto spaziale delineato dalle loro reti diplomatiche e spionistiche, da un lato sulla direttrice che da Venezia, attraverso i Balcani e lo snodo comunicativo di Ragusa, giunge sino alla corte ottomana di Costantinopoli e dall'altro mostrandoci gli spazi della diplomazia francese nella metropoli lagunare. In particolare l'ambasciata francese, allocata in Ca’ Dandolo tra Canal Grande e bacino di San Marco, si trova a pochi passi dal cuore politico e religioso della Serenissima, e in prossimità della più significativa concentrazione urbana di botteghe di stampatori e librai veneziani. Si tratta di uno spazio aperto a spie, esuli o soldati in fuga da acquisire al partito filo-francese in Italia, ma è al contempo un luogo proiettato sulla realtà urbana attraverso una rete di informatori reclutati in loco (venuta allo scoperto nell’agosto 1542). L’ambasciata diventa uno straordinario crocevia di uomini, libri e informazioni, una ‘porta’ per molteplici accessi. Per i sovrani francesi Venezia è anzitutto una porta d’Italia per nuovi aderenti al partito filo-francese, ma è al contempo una porta sul Mediterraneo e sull’Oriente ottomano, nonché una via di accesso alle informazioni provenienti dalle città tedesche e un osservatorio privilegiato sul mercato artistico e librario europeo. Per tali ragioni, Francesco I si affida tra 1525 e 1547 a nove uomini di alto profilo culturale e spirituale. Ludovico di Canossa, Giovan Gioachino da Passano, Jean de Langeac, Lazare de Baϊf, Georges de Selve, Georges d’Armagnac, Guillaume Pellicier, Jean de Monluc e Jean de Morvillier. Prima che validi diplomatici, costoro sono tutti uomini di lettere e collezionisti di libri ebraici, greci e arabi; sono traduttori e cultori delle arti, a loro agio nell'intrattenere rapporti con il ceto dirigente veneziano e con l'élite culturale dell'intera penisola. Le porte dell’ambasciata si spalancano così, tra gli altri, a Tiziano Vecellio, Pietro Aretino, Luigi Alamanni, Antonio Brucioli, Giulio Camillo Delminio, Sebastiano Serlio, Girolamo Fracastoro, Pierre Danès e Guillaume Postel, ma anche a ebraisti e grecisti, falconieri, indovini e astrologi, gioiellieri e librai, facendo rivaleggiare l'ambasciata di Francia con la nascente corte dell'inviato dagli Asburgo a Venezia Diego Hurtado de Mendoza.
In secondo luogo, i rappresentanti francesi sono chierici e vescovi francesi: “prelati di Stato” già dotati di stipendio e con reti ben salde all’interno della curia romana. Essi presentano inoltre una comune affiliazione alla rete evangelica francese che fa capo all’umanista Jacques Lefèvre d’Étaples e che trova in Margherita di Navarra, sorella del sovrano, e nei fratelli Jean e Guillaume Du Bellay influenti sostenitori a corte. Chiamati a lavorare all'“empia alleanza” tra il sovrano Valois e il sultano ottomano Solimano il Magnifico in funzione antiasburgica, che prevede l'arruolamento del sovrano inglese Enrico VIII, dei principi protestanti e dell’Ungheria filo-turca, perseguono tale politica attraverso il coinvolgimento diretto di uomini e donne sul crinale dell’eresia come i predicatori Francesco Zorzi e Girolamo Galateo, di umanisti ed esponenti dell’evangelismo italiano come Antonio Brucioli, Bartolomeo Fonzio, Guido Rangoni, Federico Fregoso e altri che facevano capo dapprima a Gasparo Contarini e quindi a Reginald Pole e Giovanni Morone. I diplomatici francesi si servono inoltre di informatori in Oriente particolarmente abili come l’esule castigliano Antonio Rincón, il cui profilo è per Alonge esemplificazione delle capacità del singolo uomo di talento di oltrepassare barriere culturali e identitarie radicate, restituendo “… valore all’azione individuale e un senso storiografico forte per una storia qualitativa, a dispetto di analisi incentrate sulle lunghe durate, sulle strutture invariabili e sui movimenti collettivi …” (p. 10).
Non più semplici esecutori delle istruzioni sovrane o mediatori di trame già delineate a corte, gli ambasciatori residenti plasmano in prima persona la politica francese sullo scacchiere italiano e mediterraneo. Sapienti utilizzatori dell’arma della scrittura, si ritagliano ampi spazi di manovra, indirizzano attraverso i loro rapporti le scelte della corte, tentano di manipolare e condizionare la politica della Serenissima, pienamente consapevoli della complessità mediatica della ‘società dell’informazione’ veneziana. Incarnano una fase costitutiva del moderno profilo dell’ambasciatore e pertanto hanno un volto sfaccettato e talora apparentemente contraddittorio. Li vediamo infatti all'opera come spie e arruolatori di informatori, finanziatori di truppe mercenarie, fabbricatori di false notizie, corruttori di senatori, mecenati di sospetti eretici, collezionisti d'arte e procacciatori di volumi per la biblioteca regia. Se questo profilo 'camaleontico' è da un lato l'esito di un comune bagaglio umanistico, dall’altro è il frutto di una residenza prolungata in laguna, di un profondo radicamento negli spazi sociali urbani e di una multiforme partecipazione alla vita pubblica lagunare, nonché di una capacità di fabbricare notizie e imporsi quali attori della comunicazione politica da moderni professionisti dell’informazione.