II, 2019/1

Andreas Gottsmann

Staatskunst oder Kulturstaat?

Review by: Francesca Brunet

Authors: Andreas Gottsmann
Title: Staatskunst oder Kulturstaat?. Staatliche Kunstpolitik im Österreich 1848-1914
Place: Wien-Köln-Weimar
Publisher: Böhlau Verlag
Year: 2017
ISBN: 9783205202356
URL: link to the title

Reviewer Francesca Brunet - Universität Luzern

Citation
F. Brunet, review of Andreas Gottsmann, Staatskunst oder Kulturstaat?. Staatliche Kunstpolitik im Österreich 1848-1914, Wien-Köln-Weimar, Böhlau, 2017, in: ARO, II, 2019, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/1/staatskunst-oder-kulturstaat-francesca-brunet/

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Il punto di partenza dal quale l’ultima monografia di Andreas Gottsmann prende le mosse è un dato economico: vale a dire l’aumento esponenziale, verificatosi nella Monarchia asburgica a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, degli investimenti statali destinati all’ambito artistico-culturale – dalle borse di studio alle sovvenzioni di scuole d’arte e conservatori, dai finanziamenti per gli scavi archeologici alle spese per la protezione e il restauro di monumenti. Quale dunque, si chiede l’autore, la ragione di tali massicci investimenti, il loro scopo e significato politico?

Il periodo preso in considerazione coincide con un radicale mutamento del ruolo stesso dell’arte. Se nei secoli precedenti – non solo in Austria ma in tutta Europa – l’arte era stata in linea di massima funzionale alle esigenze di rappresentanza della corte, della nobiltà o del clero, è proprio nel corso dell’Ottocento che la politica dell’arte (Kunstpolitik) iniziò a essere percepita, e utilizzata, come uno dei pilastri del potere dello Stato. A discapito della funzione rappresentativa, andò ad acquisire sempre maggior importanza la concezione dell’arte come strumento educativo rivolto ai cittadini, in grado di agire anche sulla percezione del senso di collettività.

Nell’ambito di un tema senz’altro frequentato dalla storiografia – l’esplosione artistico-culturale austriaca (e segnatamente viennese) tra XIX e XX secolo –, il volume ne propone una lettura originale, utilizzando una prospettiva politico-istituzionale finora quasi inesplorata. Il punto di osservazione dal quale l’autore indaga la tipologia e lo scopo della Kunstpolitik della Monarchia asburgica – o per meglio dire, della parte cisleitanica di essa (a partire dall’Ausgleich del 1867 l’Ungheria ebbe una propria e indipendente politica culturale) – non è infatti quello “dal basso”, ossia degli artisti e delle correnti artistiche, della loro ricezione e delle loro influenze. Piuttosto, Gottsmann intende dichiaratamente ricostruire una “storia dall’alto”, quindi degli attori della Kunstpolitik – funzionari, ministri, consiglieri, direttori di musei e accademie – e delle istituzioni in cui essi agirono. Uomini come Leo Thun, ministro del culto e dell’istruzione negli anni Cinquanta, o il di lui fratello Franz Anton, consigliere ministeriale ed egli stesso mecenate, o ancora come gli storici dell’arte Rudolf Eitelberger e Alois Riegl, entrambi considerabili quali ideologi della politica culturale austriaca del periodo, pur con approcci diametralmente opposti – il primo promotore dello storicismo e il secondo severo critico di quest’ultimo e rappresentante del modernismo – fanno parte di un ristretto gruppo di persone che segnarono profondamente la propria epoca e che di fatto contribuirono a costruire il mito dell’arte “austriaca”, facendole guadagnare una nuova posizione preminente non solo in termini di prestigio statale, ma anche in relazione alla coscienza pubblica.

L’approccio politico-istituzionale sembra anche giustificare pienamente la selezione delle fonti prese in considerazione: da una parte quelle prodotte nel “centro” del Gesamtstaat – ossia dai Ministeri viennesi, e nello specifico (benché non solo) dal Ministero del culto e dell’istruzione che aveva competenza sulle materie artistiche; dall’altra parte, le fonti governative di alcuni Länder (il Tirolo, l’Austria Inferiore e la Stiria), che rappresentano casi esemplari delle modalità di promozione artistica anche da parte dei governi o delle luogotenenze provinciali.

Rispondendo alla domanda che costituisce il titolo del libro (Staatskunst oder Kulturstaat?) in direzione del secondo termine proposto, l’autore sostiene che, nel caso austriaco, non si possa tanto parlare di una Staatskunst (arte di Stato) – nonostante la percezione condivisa anche da molti contemporanei, i quali riconoscevano in essa un’eccessiva vicinanza allo Stato e quindi una chiara dipendenza da quest’ultimo, in prima battuta economica; piuttosto, lo Stato asburgico divenne, nel corso dei decenni qui presi in considerazione, un moderno Kulturstaat (Stato di cultura), politicamente interessato non tanto a incentivare specifiche correnti artistiche a discapito di altre, ma piuttosto a incoraggiare il più possibile la pluralità artistica e culturale. A fronte di una intrinseca mancanza di omogeneità, esso seppe insomma fare di necessità virtù, trasformando questa potenziale debolezza in un vantaggio. Un vantaggio con una duplice direzione: verso l’esterno, le novità e le avanguardie in campo artistico avrebbero consentito di guadagnare prestigio internazionale; verso l’interno, l’integrazione delle correnti più rivoluzionarie entro un panorama artistico ampio e variegato avrebbe contribuito a mantenere e rafforzare la coesione interna. E non solo a Vienna: al medesimo scopo di coesione e identificazione con lo Stato comune, anche nelle altre province le tradizioni locali furono tutt’altro che ostacolate, ma anzi promosse.

Questo progetto politico, in un certo senso disorganico e in parte privo di linee-guida concettuali univoche ma complessivamente coerente, emerge in entrambe le parti del volume. Nella prima (Die staatliche Kunstpolitik) l’autore tratteggia la storia, l’evoluzione, l’attività e gli orientamenti estetici di alcuni istituti viennesi (come ad esempio, per menzionare i principali, l’Accademia di belle arti, riformata su iniziativa del ministero Thun, il Museo austriaco per l’arte e l’industria, il Musikverein, la Galleria moderna, poi chiamata Galleria di Stato austriaca, la Commissione centrale per la ricerca e la conservazione dei monumenti); le iniziative alle quali tali istituti diedero vita per promuovere gli artisti (borse di studio, premi, esposizioni di Stato); l’apparato organizzativo ministeriale o, ancora, la costruzione della Ringstrasse, concepita nel contesto del grande progetto di rinnovamento urbanistico e architettonico di Vienna, che mutò drasticamente la fisionomia della città e che può essere considerata il simbolo stesso della svolta della Kunstpolitik di metà Ottocento, nonché della cooperazione tra corte, Stato ed élite borghese (attore sociale, quest’ultima, che, insieme alle vecchie élite e all’alta burocrazia, divenne il vero e proprio motore della nuova politica culturale austriaca). Nella seconda parte del volume lo sguardo si sposta al livello dei singoli Länder – spaziando dal Tirolo alla Galizia, dalla Boemia alla Dalmazia – offrendo una panoramica degli istituti di produzione o conservazione artistica, quali teatri, musei statali e provinciali, scuole e società di musica e d’arte, fondati in ogni angolo dell’Impero.

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