Reviewer Laura Giannetti - University of Miami
CitationLa nozione che vino e alcolici siano stati un’arma formidabile di sottomissione nella conquista europea del Nuovo Mondo è uno di quei concetti quasi dati per scontati nell’analisi storica. Ma come avvenne tale sottomissione? Quali strategie e negoziazioni portarono alla sua affermazione? E ci fu davvero una vittoria del modello europeo? Sbornie sacre, sbornie profane, saggio ricco di spunti, risponde a molte di queste domande in una visione di lungo periodo. La prospettiva scelta è quasi forzatamente quella eurocentrica del “prima di noi” (i colonizzatori) e del “dopo di noi.” L’autore ammette apertamente che essa è imposta dalla documentazione sopravvissuta, comunque utilizzata con una buona dose di consapevolezza e sguardo critico.
Il primo capitolo, “Sentieri dell’alcool”, orienta il lettore e pone alcune premesse fondamentali spiegando il pensiero religioso europeo sull’ubriachezza. La cultura cattolica non era esente da contraddizioni interne; esse includevano la considerazione positiva del ruolo sacro del vino nella liturgia, ma anche la condanna dell’alcool e l’invito alla totale astinenza. Nella pratica, l’acqua non era consigliabile per motivi igienici, e il vino godeva comunque di una antica e solida reputazione nel mondo mediterraneo. A complicare le cose, si aggiungeva la critica alla smodatezza nel bere (e nel mangiare) di cui la Chiesa riformata accusava i cattolici e la contro-accusa, vera o falsa che fosse, che nei Paesi luterani ci si ubriacava allegramente. Questo composito bagaglio culturale segue i colonizzatori nel Nuovo Mondo e s’incontra con le abitudini indigene.
Gli Inca e gli Aztechi conoscevano già la fermentazione e creavano sostanze alcoliche dal mais e dall’agave. Ne facevano un uso rituale, in celebrazioni religiose, sacrificali e politiche ma anche in momenti della vita quotidiana quali matrimoni, funerali, la semina o l’inaugurazione di una nuova casa. Se per gli indigeni le circostanze delle bevute erano tutto, e quindi si giustificava il bere abbondante in determinati luoghi e momenti, per gli spagnoli il bere smodato non era mai giustificato: l’ideale era un consumo moderato di vino. L’autore mostra l’incapacità di avvicinarsi ai costumi indigeni da parte dei missionari gesuiti. Chi relazionava per l’Inquisizione, infatti, presentava un mondo di eccessi alcolici che avrebbe aperto la strada a tutti gli altri, ma soprattutto a quelli sessuali.
Gli indigeni dell’America nord-orientale invece non conoscevano le sostanze alcoliche, introdotte dai colonizzatori olandesi, francesi e inglesi. Le colonie atlantiche e la loro storia furono segnate profondamente dall’alcool. L’acquavite divenne molto popolare e parte importante dell’economia nord-americana ma anche un problema da estirpare. Le chiese protestanti si fecero promotrici della lotta all’ebbrezza ed esaltarono la massima temperanza. La repressione del piacere legato al consumo eccessivo di alcool finì con l’includere anche il cacao e il cioccolato cui si riconosceva un potere afrodisiaco e inebriante.
Nel loro costante tentativo di controllare le abitudini alcoliche indigene e di negarne la ritualità religiosa, gli spagnoli ordinarono infine che le sostanze fermentate fossero vendute solo all’interno delle taverne. Progetto destinato naturalmente a un fallimento clamoroso; le sostanze fermentate continuarono a circolare anche al di fuori e le taverne divennero l’anticamera dei bordelli. Anche in Europa non fu possibile controllare i luoghi in cui si beveva pubblicamente. Ma le taverne unirono alla loro pessima reputazione morale un’importante funzione sociale, di aggregazione, incontro e scambio di notizie.
L’incontro/scontro tra il Vecchio e il Nuovo Mondo e la volontà di dominio del Vecchio, si realizzarono anche attraverso il tentativo di controllo dell’ubriachezza. Sbornie sacre, sbornie profane aggiunge un prezioso tassello alla storia della “conquista” europea del Nuovo Mondo.