II, 2019/1

Massimo Mastrogregori

Moro

Review by: Paolo Acanfora

Authors: Massimo Mastrogregori
Title: Moro
Place: Roma
Publisher: Salerno Editrice
Year: 2016
ISBN: 9788869731938
URL: link to the title

Reviewer Paolo Acanfora - IULM - International University of Languages and Media

Citation
P. Acanfora, review of Massimo Mastrogregori, Moro, Roma, Salerno Editrice, 2016, in: ARO, II, 2019, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/1/moro-paolo-acanfora/

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Recensire la biografia di Moro offertaci da Mastrogregori non è cosa semplice. Questo lavoro esce dopo una stagione di studi, apertasi fondamentalmente a partire dal 2008[1], che ha molto contribuito a spiegare la vicenda politica ed intellettuale di Moro (anche se, ovviamente, ancora molto rimane da fare). Di questa letteratura Mastrogregori fa largo uso ma si potrebbe dire che alle sue linee di fondo rimane, in buona misura, estraneo. Soprattutto, l’A. non ha potuto confrontarsi con il lavoro che potremmo considerare il risultato più lucido e completo di questa stagione: la coeva biografia del politico pugliese scritta dallo storico Guido Formigoni[2].

Il profilo di Moro presentato da Mastrogregori è ostico. Sin dalle prime pagine, anzi sin nella premessa, si offre una chiave interpretativa del lavoro svolto – o quantomeno un indirizzo di dove si vuol instradare il lettore. Scelgo due passaggi significativi.

Il primo riguarda la sua tragica fine e l’invito a «non credere troppo alla favola che Moro è stato ucciso perché stava preparando il compromesso storico con i comunisti» (p. 7). Se è più che giusto sottolineare la netta diversità tra la strategia berlingueriana del compromesso storico e quella della terza fase di Moro, non ci si può, tuttavia, neanche accontentare di una lettura che suggerisca che la scelta delle BR di rapire ed uccidere Aldo Moro per “colpire al cuore lo Stato” sia stata accidentale – o dovuta alla semplice ragione che fosse un bersaglio più facile di altri. Che la sua fine abbia a che fare con quel che Moro ha rappresentato politicamente è questione che andrebbe considerata con rigore.

Il secondo è l’individuazione nella temperie del Sessantotto della fine di un modello di democrazia dei partiti che porta con sé la «scomparsa del rapporto pedagogico-autoritario» che rappresenterebbe la «matrice culturale del Moro intellettuale-sacerdote» (p. 8).

È questo un punto su cui l’A. insiste molto. Sin nei suoi anni giovanili, nel trapasso dal regime fascista a un avvenire non ancora chiaro, Moro è rappresentato come un giovane “ideologo” senza partito che guarda ad una realtà che deplora «da lontano, deluso e irritato» (p. 61). Da qui si passa improvvisamente a descrivere una carriera politica che appare all’A. fulminea, «enigmatic[a] e paradossale» e che lo porta «stranamente» a ricoprire ruoli di primo piano (p. 62). Arrivati a p. 100 la narrazione biografica è talmente pervasa da una «soffocante atmosfera di intrighi, di risultati inesistenti, di lentissimi movimenti» che l’A. si dice comprensivo del possibile desiderio di fuga del lettore, salvo precisare che no, non si può perché «è in questa stanza chiusa che a Moro è capitato di vivere».

L’insistenza sulla presunta opacità di molti passaggi biografici è rafforzata dalla scelta di aprire il volume con un primo capitolo (pp. 11-30) dedicato al “presidente”, alla sua tragica fine, all’archivio stranamente sparito[3], al «come si diventa influenti», insomma ad una lettura ambigua, allusiva che non dice – perché non si può e non si sa – ma che pure sottintende.

Questo impianto sospettoso, di persistente retro-pensiero, di intrigo nuoce, a mio avviso, al lavoro svolto che pure presenta non banali elementi di interesse. Il libro è frutto di una ricca ricerca d’archivio, con continui tentativi di dare respiro al racconto biografico lavorando sul contesto e ponendosi domande ampie e non scontate. Dalla selezione dei momenti “salienti” della biografia morotea si comprende qual è l’interesse principale dell’A. Colpisce, ad esempio, la marginalità riservata ai lavori costituzionali e all’appartenenza al gruppo dossettiano che pure è stata decisiva per l’apprendistato politico di Moro. Più centrata invece l’attenzione sui ruoli istituzionali, soprattutto, com’è ovvio, di presidente del consiglio e di ministro degli esteri. Su questo versante l’A. si concentra in modo spesso puntuale sulla ricostruzione dei rapporti politici tra il governo, il partito, la presidenza della Repubblica, gli alleati e le opposizioni, senza dimenticare, seppure in modo minore, il referente internazionale statunitense e la dialettica con il mondo cattolico.

La realizzazione della svolta del centrosinistra negli anni Sessanta e l’avvio di una nuova forma di rapporto con il partito comunista negli anni Settanta costituiscono ovviamente i due passaggi fondamentali della biografia morotea e della storia repubblicana. L’interpretazione complessiva che offre l’A. è di un Moro sostanzialmente conservatore, mediatore e manovratore, ma non particolarmente capace (o comunque, meno di quanto generalmente ritenuto) di dare grande respiro strategico alla propria linea politica. In questa direzione, contesta anche la sua capacità di elaborare letture sistemiche adeguate, come nel caso del tornante del Sessantotto[4]. Lo rappresenta, invece, come un abile navigatore a vista, per cui, ad esempio, la stagione della “solidarietà nazionale” più che un tentativo di spostare avanti gli equilibri del paese rappresentò una sorta di «tregua armata» di cui Moro fu il principale «negoziatore» (p. 249).

Ciò non significa, a giudizio dell’A., che mancassero elementi “ideali” nella politica morotea, anzi, per usare le sue parole, nella «cifra storica» della sua azione. Ne intravvede, fondamentalmente, due, peraltro giudicati «incompatibili»: «conservare unito il suo partito, per assicurarne l’egemonia; e allargare le basi del sistema democratico, per renderlo più giusto e più libero con le necessarie graduali riforme» (p. 254). Era questa la sua «missione» (pp. 300-304), ostacolata, aggiunge giustamente l’A., in molti modi e conclusasi «drammaticamente col sequestro e l’assassinio».

 

[1] G. Formigoni, Il rinnovamento della storiografia su Aldo Moro dopo il 2008, in Aldo Moro. Gli anni della “Sapienza” (1963-1978), a cura di A. D’Angelo, M. Toscano, Studium, Roma, 2018, pp. 27-38; P. Acanfora, La storiografia su Aldo Moro e gli archivi dell’Istituto Luigi Sturzo, in Aldo Moro e la storia della Repubblica, a cura di N. Antonetti, il Mulino, Bologna (in via di pubblicazione).

[2] G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, il Mulino, Bologna, 2016.

[3] Scrive l’A.: «ci sono molti vuoti, nella documentazione che riguarda il nostro personaggio, che non si sono prodotti per caso, o per l’inevitabile incuria del tempo» (p. 17).

[4] Scrive ancora l’A.: «il tema del rapporto di Moro con il Sessantotto […] andrebbe indagato in molte direzioni, culturali e politiche, superando la constatazione – forse basata su un malinteso – della sua profonda comprensione di quel fenomeno» (p. 354, nota 166).

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