Reviewer Federico Niglia - Università LUISS “Guido Carli”
CitationL’asse Roma-Bonn, inteso come la verticale dei due regimi democratici e repubblicani che nel secondo dopoguerra hanno sostituito le dittature, rappresenta un magnete per diverse generazioni di storici. A partire dagli anni Novanta, il desiderio di analizzare i rapporti italo-tedeschi andando oltre il periodo tra le due guerre ha portato molti storici a ragionare sia sul periodo precedente che su quello successivo. Seguendo le intuizioni di alcuni “apripista” - tra gli altri Jens Petersen, Enzo Collotti, Rosario Romeo - si è cercato di comprendere sia il ripensamento del rapporto bilaterale tra Italia e Germania, sia il contributo che Italia e Germania occidentale hanno fornito alla costruzione europea e alla politica dell’Occidente.
Lo studio di Filippo Triola rappresenta l’ultimo frutto di una stagione di ricerche che in un quarto di secolo si sono succedute sull’argomento e si incentra sul decennio fatidico 1945-1955, quello in cui l’Italia e la nascente Repubblica Federale trovano una chiave di dialogo e pongono le basi di una futura collaborazione. Per diversi anni lo studio di questo decennio è stato vittima di quella stessa tendenza alla personalizzazione che aveva caratterizzato lo studio dei rapporti tra l’Italia fascista e la Germania nazista: tutto, in pratica, era stato ricondotto alla politica personale di Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, i due statisti di frontiera.
Triola, pur tenendo ben presente l’orientamento del vertice, ci porta invece al livello più basso, quello dei ministri (in primis degli Esteri ma anche i responsabili dei ministeri economici) e delle strutture burocratiche. Così facendo, ci fornisce un quadro meno agiografico, ma certamente più realistico dei rapporti tra Roma e Bonn.
Attraverso lo studio di Triola, che si avvale di fonti archivistiche sia italiane sia tedesche, si vede come soprattutto da parte italiana vi sia stato un atteggiamento ambivalente: se da una parte vi era un favore (sostenuto anche da interessi concreti) verso la rinascita tedesca, dall’altro vi era un diffuso sospetto circa la reale natura della “nuova” Germania, nonché sul ruolo che questa avrebbe giocato nella politica occidentale del dopoguerra. Scorrendo i rapporti dei rappresentanti diplomatici italiani in Germania e le reazioni politiche a Roma, si vede, ad esempio, come la Germania occidentale sia stata giudicata come un paese nel quale la transizione democratica era soprattutto di facciata.
Triola però fornisce anche la ricostruzione dell’atteggiamento tedesco nei confronti degli italiani, il che rappresenta, ad avviso del recensore, il valore aggiunto di questo libro. È interessante rilevare come anche da parte tedesca si guardasse agli italiani in modo ambivalente. Degno di menzione è, in particolare, il fatto che anche i tedeschi fossero sospettosi rispetto alla continuità tra il vecchio e il nuovo regime, una continuità che si manifestava in alcuni casi proprio nel personale incaricato di riallacciare i rapporti tra Italia e Germania.
L’autore dedica ampio spazio al ruolo degli “interessi” nel dialogo italo-tedesco, analizzando sia la dimensione culturale sia, soprattutto, quella dell’economia. Nell’analisi delle dinamiche economiche si evidenziano alcuni dati peculiari. Anzitutto l’emergere quasi immediato di una “asimmetria” tra l’economia italiana e quella germanica, evidenziata non solo dall’andamento dei rapporti commerciali ma anche dai trend di crescita e di produzione. Se, in un primo momento, gli italiani avevano sostenuto la rinascita dell’economia tedesca e la ripresa degli scambi commerciali, già pochi anni dopo la nascita della Repubblica Federale erano emersi diversi dubbi circa gli effetti negativi che la rapida crescita economica della Germania poteva avere sull’Italia. Triola pone qui le premesse di quel senso di inferiorità dell’Italia rispetto all’economia tedesca che avrebbe assunto, soprattutto a partire dagli anni Settanta, aspetti macroscopici e che avrebbe condizionato grandemente l’atteggiamento politico italiano (della classe dirigente ma non solo) verso Bonn (e successivamente verso Berlino).
La mutazione di atteggiamento da parte italiana andò di pari passo con quella dei tedeschi nei confronti dell’Italia. A partire dagli anni Cinquanta il giudizio tedesco sull’Italia fu condizionato da due fattori: l’affermarsi di un sistema economico non liberale, in cui gli interessi corporativi sono prevalenti; l’avanzata dei partiti della sinistra accompagnata dall’incapacità della Democrazia Cristiana di rimanere coesa e di porre un valido argine. L’analisi critica dell’andamento di quello che oggi chiameremmo il Sistema Italia veniva condita da una serie di cliché sull’assenza di regole e, più in generale, da una difficoltà nel comprendere le traiettorie evolutive dell’Italia.
Si manifestava in modo crescente e sempre più costante quella preoccupazione tedesca per un’Italia incapace di seguire un percorso coerente di sviluppo, e come tale inidonea a rappresentare, fino in fondo, un partner in Europa. Correttamente Triola sottolinea che, nel decennio analizzato, i reciproci pregiudizi sono spesso rimasti all’interno delle burocrazie dei due paesi e che la logica della guerra fredda ha sovente messo a tacere le potenziali divergenze tra i due paesi. Questi fattori di divisione hanno però operato a livello sotterraneo, facendo sì che l’Italia non riuscisse fino in fondo a percepire la Germania come suo alleato “naturale”. Questo valeva anche per la Germania nei confronti dell’Italia.
In conclusione, lo studio di Triola risulta di utilità in quanto analizza in chiave critica quello che per anni è stato considerato il decennio dell’idillio italo-tedesco, ponendo le basi per una migliore comprensione degli sviluppi successivi dei rapporti tra i due paesi.