Reviewer Andrea Giannotti - Università di Pisa
CitationNel panorama di studi sull’Unione Sovietica e sulle relazioni tra Mosca e Roma, gli anni Sessanta rappresentano un momento tanto significativo quanto per lungo tempo poco considerato. In tal senso, il volume di Alessandro Salacone “La diplomazia del dialogo. Italia e URSS tra coesistenza pacifica e distensione (1958-1968)” rappresenta un contributo di grande interesse e molto opportuno. L’autore, assegnista presso l’Università Orientale di Napoli e docente presso la Rossijskij Gosudarstvennyj Gumanitarnyj Universitet (Università Statale Umanistica Russa - RGGU), facendo ricorso a ricco materiale archivistico sia italiano che sovietico ricostruisce con sistematicità i diversi passaggi che dal II Governo Fanfani (luglio 1958 – febbraio 1959) fino al III Governo Moro (febbraio 1966 - giugno 1968) hanno contraddistinto i rapporti con l’URSS.
Si trattò di un periodo assai rilevante nelle dinamiche politiche italiane. La progressiva crescita della sinistra democristiana e poi l’inizio del centro-sinistra furono caratterizzati da grande attivismo in politica estera e dal tentativo, solo parzialmente realizzato e realizzabile, di superare il rigido schema di contrapposizione fra Est e Ovest. Di questo sforzo, cui presero parte personalità quali Amintore Fanfani, Giovanni Gronchi, Giorgio La Pira ed Enrico Mattei, il volume di Salacone dà puntualmente conto, illustrando bene la dimensione di cooperazione economica cui, attraverso il coinvolgimento soprattutto di ENI e FIAT, il governo italiano fece ricorso per aggirare i limiti atlantici ad approcci giudicati politicamente troppo aperturisti verso il Cremlino. In particolare la visita in Unione Sovietica del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi dal 6 all’11 febbraio 1960, pur essendosi conclusa con un sostanziale nulla di fatto sul piano politico internazionale (Nikita S. Chruščëv non prese, infatti, in considerazione le proposte dello statista italiano per una soluzione della questione tedesca né su una possibile mediazione di Roma fra URSS e Occidente), aprì la strada all’importante accordo concluso da Enrico Mattei l’11 ottobre dello stesso anno e che assestò un serio colpo all’equilibrio consociativo delle “Sette sorelle”. L’URSS avrebbe acquistato cinquantamila tonnellate di gomma sintetica e considerevoli attrezzature per oleodotti e l’Agip avrebbe importato petrolio e combustibili sovietici. A questo accordo ne sarebbero seguiti, negli anni seguenti, un secondo con l’ENI per l’acquisto di gas naturale siberiano e quello con la FIAT per la costruzione di un grande stabilimento automobilistico sul Volga. Assai interessante è la ricostruzione, che Salacone fa sulla scorta di documenti sovietici, del ruolo di mediazione dello stesso PCI nell’affare del gas.
Non meno significativi furono poi due eventi ben rappresentati dall’Autore e che scossero il “campo comunista” nel 1964: la morte di Palmiro Togliatti e la destituzione di Chruščëv. Quanto alla scomparsa del capo del PCI, avvenuta in Crimea il 21 agosto 1964, Salacone analizza sulla base di documenti sovietici, le reazioni del Cremlino al cosiddetto “Memoriale di Jalta”, la riflessione alquanto critica sul movimento comunista internazionale e sul ruolo del PCUS, che il leader italiano aveva scritto appena prima di essere colpito dall’ictus. Il rovesciamento di Chruščëv e la sua sostituzione alla guida del PCUS con Leonid I. Brežnev il 14 ottobre 1964 seguirono di pochi mesi la nascita del primo governo italiano con la diretta partecipazione dei socialisti. L’Autore segnala al riguardo che, sebbene il PCI avesse giudicato negativamente l’iniziativa sovietica, determinando un certo raffreddamento dei rapporti fra i due partiti e sebbene l’accettazione da parte del PSI della posizione atlantica dell’Italia aveva escluso agli occhi del Cremlino un riposizionamento internazionale di Roma, ciò nondimeno non vi furono ricadute sulle relazioni intergovernative. Le visite si fecero più frequenti e la cooperazione economica, come dimostrano i summenzionati accordi, proseguì proficuamente e come pure quella culturale, confermando dunque il corso di diplomazia del dialogo, opportunamente richiamato nel titolo del libro.