Reviewer Matteo Largaiolli - Università di Trento - Fondazione Bruno Kessler
CitationI dodici capitoli del volume, in continuità con la precedente ricerca di De Rossi dedicata alle Alpi (La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1734-1914), Donzelli 2014), disegnano un ricco affresco del rapporto dell’uomo con la montagna e con lo spazio pubblico e privato nel corso del Novecento. Nella sua riflessione, De Rossi si chiede come l’uomo abbia agito nel e sul paesaggio alpino, attraverso l’architettura nelle sue diverse declinazioni: abitazioni civili, infrastrutture, urbanistica e pianificazione. In linea con il primo volume, De Rossi individua negli anni del primo dopoguerra l’inizio di un nuovo paradigma nel rapporto tra uomo e montagna, il “modernismo alpino” inteso come uno “specifico progetto di civilizzazione e trasformazione dei territori d’alta quota” (p. 4) che ha nel turismo un motore essenziale, ma non esclusivo. I fenomeni di intervento e sfruttamento abitativo, infrastrutturale, turistico, sportivo, riflettono, creano ed esplicitano nuovi modi di guardare alla montagna, in anni complessi di trasformazione anche demografica, di spopolamento e ricerca di nuove possibilità di fruizione e gestione dello spazio montano.
Il volume si concentra sulle Alpi occidentali, con particolare attenzione per alcune zone di Piemonte e Valle d’Aosta, che si configurano come exempla significativi di diversi modelli di gestione del territorio (Bardonecchia, Sestriere, Cervinia). Alcune piste di ricerca si muovono nella direzione della transnazionalità, ma anche della trans-località, con confronti e indicazioni di continuità e differenze con altre aree, in particolare con le coeve esperienze francesi e svizzere; resta la curiosità di capire se dinamiche simili sono attive anche in altre zone italiane, alle quali De Rossi accenna, come Trentino, Sudtirolo, Veneto, Friuli o sulle Alpi austriache.
Anche per un lettore digiuno di architettura, il libro offre ricchi spunti di approfondimento. De Rossi legge infatti le dinamiche del moderno attraverso la loro manifestazione concreta, fisica, in edifici, strade, piani urbanistici, dighe e ponti, alberghi e sanatori, funivie e rifugi, toccando molti temi diversi: lo sfruttamento del paesaggio nello sport e nel turismo, la dinamica tra emigrazione e resistenza delle popolazioni locali, il rapporto tra aree montane e città e l’ibridazione tra modelli abitativi alpini e urbani, la logica della pianificazione, l’imporsi di nuovi modelli di socialità, il rapporto tra pubblico e privato nella gestione del paesaggio e le ricadute istituzionali (come nel caso di Sestriere, che, creata ex novo, a un certo punto acquisisce lo status di comune), ma anche i rapporti con l’arte e con i media, la legislazione, la medicina e la sanità, la tecnologia, che è parte integrante del discorso sulle infrastrutture d’alta quota.
Data la ricchezza di analisi, supportata da una vastissima bibliografia e da costanti riferimenti a dati e fonti coeve, il volume permette più piani di lettura. Due traiettorie scelte tra le molte possibili riguardano 1. la dinamica tra continuità e cambiamento, tra tradizione e innovazione, nel rapporto dell’uomo con il paesaggio e 2. il rapporto tra modernità alpina e media.
Lo studio dell’architettura e dei suoi cambiamenti si traduce innanzitutto in una riflessione sui cambiamenti di mentalità. È difficile, naturalmente, riassumere questa dinamica che si dispiega su un arco di tempo così ampio e che tocca aspetti sociali, economici, culturali molto diversi tra loro, tanto più che la transizione è complessa e a volte contraddittoria (p. 341) perché nuovi modi di rapportarsi con l’ambiente convivono con forme stilizzate e fossilizzate di fedeltà al passato. De Rossi mette bene in luce sia i fenomeni di passaggio, come il superamento della concezione romantica del paesaggio verso una diversa percezione dell’ambiente legata alle nuove modalità della sua fruizione (p. 134), sia i fenomeni di continuità: ad esempio, per limitarsi ad alcuni fenomeni degli anni Trenta, cambiano “le pratiche d’uso” della montagna, ma gli attori e i committenti dell’intervento architettonico sono ancora, come nei decenni precedenti, di estrazione aristocratica e alto-borghese (p. 141); negli stessi anni, le nuove iniziative legate all’assistenza e alla previdenza sociale sono eredi della pratica sanitaria ottocentesca che ha un risvolto materiale nella costruzione dei sanatori (p. 174); e ancora, l’“immaginario iconografico” dei decenni tra le due guerre, che si manifesta nelle costruzione di dighe e ponti, di strutture cioè in grado di creare il paesaggio, “muove dal dispositivo estetico del contrasto complementare alla base del pittoresco alpino sette-ottocentesco …, ma per ritrasferirlo sul piano del sublime tecnologico” (p. 192). Se si guarda verso il futuro, inoltre, alcune manifestazioni di massa, come le Feste della neve di Bardonecchia, allineate con le politiche sociali e di propaganda del regime fascista (p. 238), hanno a loro volta impostato un nuovo tipo di fruizione della montagna, aperta a un pubblico, in prospettiva, sempre più vario, con ripercussioni anche negli anni a venire.
Un altro tema trasversale al volume riguarda la presenza dei media e le diverse narrazioni che essi mettono in atto (la montagna come “laboratorio”, la montagna come luogo di “conquista” e così via). I media che intervengono sono i più disparati: la pubblicità e le guide turistiche; la propaganda, unita a doppio filo, ad esempio, a esperienze sociali come le colonie montane del fascismo (p. 180); le Esposizioni internazionali, con tutto il loro contorno mediatico, che rappresentano un precipitato esplicito dell’immaginario. Negli anni Trenta infatti, la rappresentazione della modernità mette in luce ad esempio l’“alleanza tra natura e tecnica sacralizzata dalle opere di ingegneria”, p. 197); la letteratura, che rappresenta e insieme orienta un modo di pensare alla montagna e alla sua storia, ai manufatti che la costellano, fino alla contemporanea “montagna industriale” (pp. 339-340); i monumenti, come le opere di italianizzazione delle città di confine in età fascista (pp. 209-210) e i sacrari, che mettono in relazione memoria, sito, mito, modernità e tradizione. I media svolgono una funzione mitopoietica, nell’autorappresentazione delle città (come Torino: p. 271), o nella promozione degli spazi contrassegnati dal mito sportivo, mondano (come Sestriere), o industriale. Ma agiscono anche sulla percezione di momenti e fenomeni specifici, ad esempio nella resa drammatica dello spopolamento (p. 404), che diviene così discorso pubblico con risvolti politici e istituzionali di vasta portata.
Il volume è corredato da un ricco apparato iconografico, che include manifesti, fotografie, plastici, mappe e progetti, e che entra in dialogo costante con l’analisi svolta, a dimostrazione di un uso coerente delle fonti figurative e materiali.