Reviewer Cecilia Molesini - Università degli studi Padova
CitationIl tema del libro è di indubbia attualità e motivo quotidiano di dibattito politico a livello nazionale e internazionale. Philipp Ther ripercorre la storia dei profughi in Europa dall’età moderna ai giorni nostri, col fine di relativizzare l’attuale crisi migratoria e dimostrare come il continente europeo – seppure a fasi alterne – sia sempre stato interessato da flussi di persone.
L’autore distingue le migrazioni forzate dagli altri movimenti migratori, in quanto risultato di un atto di coercizione, che può essere diretta, legata all’utilizzo di armi o di violenza fisica, o indiretta, esprimendosi nella minaccia dell’uso della violenza e spingendo i profughi a fuggire per paura di esserne bersaglio (p. 17). A partire da ciò, Ther identifica su base causale tre macro-tipologie di migrazioni forzate, che analizza nei primi tre capitoli, ognuno dei quali segue una propria cronologia.
Nel primo l’autore ripercorre diversi casi di gruppi in fuga dall’intolleranza religiosa, il più antico motivo di esodo nella storia dell’Europa moderna. A partire dall’esodo di ebrei e musulmani dalla penisola iberica, attraverso quello degli ugonotti dalla Francia (episodio dal quale deriva il termine francese refugiés), arrivando al conflitto nordirlandese e alle guerre in Jugoslavia, Ther mostra come le differenze religiose siano ancora oggi motivo di esclusione e persecuzione.
Il secondo capitolo ripercorre l’esperienza di chi fu costretto a fuggire a causa del nazionalismo, da quello moderno a quello radicale, etnico e – talvolta – razzista del 20° secolo. La nascita dello Stato nazione, che vedeva nelle minoranze una minaccia al proprio sviluppo, portò inevitabilmente ad un aumento dei profughi. Inoltre, l’idea di omogeneizzazione della società condusse, a partire dai primi anni del Novecento, ad utilizzare gli spostamenti di massa di popolazioni come mezzo legittimo per assicurare la pace in Europa: tra il 1912 e il 1995 circa 30 milioni di persone furono cacciate o costrette a lasciare la propria terra sulla base della loro nazionalità o etnia. Se guerra e migrazioni sono fenomeni da sempre correlati, a partire dalle guerre balcaniche (1912-‘13) l’esodo di massa non rappresentò più solo un fenomeno collaterale alla guerra, ma si sviluppò sempre più come obiettivo determinante. A questo proposito Ther sottolinea l’importanza del trattato di Losanna (1923), considerato il «modello per la risoluzione di conflitti tra nazioni nemiche» e «punto di riferimento tra il 1937 e il 1947 per una dozzina di accordi internazionali, in cui erano concordati e regolati trasferimenti di massa» (p. 90). In questo capitolo l’autore fa riferimento sia a coloro che fuggirono, furono espulsi o trasferiti tra gli anni Trenta e il secondo dopoguerra, ma anche ai migranti post-coloniali, che resero globalizzato un fenomeno in precedenza intraeuropeo.
Nel terzo capitolo vengono affrontati vari casi di migrazioni per motivi politici, numericamente inferiori rispetto a quelli già citati, ma di grande impatto per lo sviluppo del diritto alla protezione internazionale. Se già a seguito dei moti rivoluzionari del 1830-‘31 e 1848-‘49 nacque la figura storica dell’esule politico, saranno poi gli anni della Guerra fredda a rappresentare il momento di svolta con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e la fondazione di diverse organizzazioni internazionali.
Nell’ultima parte di questo capitolo, Ther propone un’interessante classificazione tra diversi tipi di esperienze migratorie (esistenziale, predeterminata, proattiva, opzionale), le quali – nonostante le differenze – prevedono la comune sfida di iniziare una nuova vita in una società diversa dalla propria. Questo aspetto, secondo l’autore, è difficilmente comprensibile da chi non ha vissuto tale esperienza in prima persona, pertanto ai diversi passaggi della ricostruzione storica egli affianca ritratti analitici di profughi più o meno noti. «È importante» sottolinea «comprendere i profughi non solo come oggetto della storia, ma come soggetti e attori autonomi, che non devono restare senza nome» (p. 12). L’approccio biografico ha l’obiettivo di avvicinare il lettore a tali esperienze per «contrastare infondate paure dell’integrazione, che da qualche tempo stanno preoccupando tutte le società occidentali» (p. 25). A queste paure è dedicato il quarto e ultimo capitolo, in cui Ther rimarca come esse siano infondate in quanto «i profughi (e altri migranti) storicamente hanno rappresentato quasi sempre un arricchimento per i paesi accoglienti e una spinta al cambiamento sul piano economico, sociale e culturale» (p. 32).
Il volume, oltre a fornire un’accurata ricostruzione storica, offre importanti spunti di riflessione sulla situazione attuale, tanto che un breve paragrafo è dedicato alla guerra civile in Siria. L’autore evidenzia più volte come nelle migrazioni il confine tra volontà e necessità sia molto labile e mette in discussione la distinzione tra le varie “categorie” di migranti, dimostrando come spesso le diverse esperienze si intreccino, sovrappongano e influenzino vicendevolmente. Inoltre, sottolinea come nel corso della storia essi abbiano rappresentato molto più spesso una risorsa che un onere per le società accoglienti e, in conclusione, fa emergere il modo in cui storicamente l’integrazione ho dimostrato di essere il miglior strumento di risoluzione delle crisi migratorie (presunte o effettive) rispetto a muri, recinzioni e ad altre forme di coercizione (p. 11). Ciononostante, l’integrazione stessa non viene presentata come un processo facile e immediato, ma come una sfida i cui risultati saranno visibili nelle pratiche sociali delle generazioni future.