Reviewer Gustavo Corni - già Università degli Studi di Trento
CitationNella storiografia internazionale il tema dei rapporti fra fascismo e nazionalsocialismo non è stato granché preso in esame. Vi sono alcuni studi imperniati sulla fase iniziale (gli anni Venti e primi Trenta), con i reiterati tentativi da parte di Hitler di ottenere un riconoscimento politico da parte di Mussolini, in quel momento indubbiamente il “maggiore” fra i due, colui che era riuscito brillantemente nell’intento di andare al potere. In tutte le biografie hitleriane vi sono accenni al legame forte e duraturo che il dittatore tedesco sentiva verso colui che egli aveva a lungo considerato un maestro, fondatore di un movimento senza il quale – come ribadì in più occasioni Hitler – non ci sarebbe stato neppure il nazionalsocialismo. Pochi sono gli studi dedicati ai reciproci influenzamenti da parte dei due movimenti e regimi, con qualche isolata eccezione: in particolare, i rapporti diplomatici e la genesi delle leggi razziali in Italia.
Tutto qui – per dirla in modo schematico. Difficile darsi una spiegazione di questo relativo disinteresse; forse l’attenzione dedicata prioritariamente al proprio singolo oggetto di studio: il fascismo, il nazionalsocialismo. Forse – per la storiografia fuori d’Italia- il riconoscimento ovvio della ben maggiore importanza del regime hitleriano e del suo drammatico impatto sulla storia internazionale. Mentre, per quanto riguarda l’Italia, non mi sembra casuale che né De Felice né nessuno dei suoi numerosi e prolifici allievi, conoscesse o conosca il tedesco, e abbia dedicato una qualche attenzione alla dittatura d’Oltralpe.
Ora disponiamo di un lavoro dettagliato, molto ben documentato e che copre tutto l’arco dei rapporti fra Hitler e Mussolini, fino alla morte dei due, scritto da Wolfgang Schieder. Importante ed esperto storico, attento conoscitore (fra i molteplici e variegati temi ai quali ha dedicato studi e ricerche importanti) della storia del fascismo italiano e dei rapporti fra i due movimenti, Schieder compie, con il volume (compatto, ma assai denso) qui recensito, il primo tentativo organico di studiare cosa abbia rappresentato Mussolini agli occhi di Hitler, come riferimento e modello politico, al quale il fondatore del nazionalsocialismo ha guardato per i lunghi anni dell’apprendistato politico, verso il quale ha comunque intrattenuto saldi legami politici, umani, quasi di amicizia, fino all’ultimo, dopo essere diventato il padrone della Germania e il dominatore su tutto il continente europeo. La prospettiva di Schieder è comunque di parte, guardando da Hitler verso Mussolini. Con questo volume Schieder offre un importante arricchimento alle biografie hitleriane, in cui i riferimenti a Mussolini sono in generale piuttosto scarsi e riferiti o al periodo formativo di Hitler (gli anni Venti) o al tema dei rapporti politico-diplomatici in vista dello scatenamento di una guerra mondiale.
Schieder prende sul serio i rapporti fra i due, sostenendo (e dimostrando in modo convincente) che una biografia politica completa di Hitler non può essere scritta senza tenere conto del suo forte legame con Mussolini. Lo studio qui esaminato non si basa tanto su un proprio personale scavo archivistico, quanto sull’attenta rilettura della ricca documentazione edita (fra l’altro i documenti diplomatici) e della memorialistica coeva, di entrambe le parti.
In una prima parte, Schieder dimostra come il “processo di apprendimento” di Hitler verso Mussolini sia iniziato nella fase fondativa del proprio movimento e come egli abbia cercato di perseguire quasi letteralmente la “Doppelstrategie” che aveva dato il successo al futuro Duce: l’uso di una violenza sfrenata, mescolato con il perseguimento di obiettivi tattici legalitari. Schieder coglie forti analogie fra la tattica mussoliniana e quella hitleriana fino al putsch del novembre 1923. Una lezione che a Hitler restò profondamente impressa. Da quel momento egli considerò la marcia su Roma una “svolta nella storia” (p.21), che l’avrebbe cambiata radicalmente. Ben oltre il 1933 Hitler riconobbe più volte, “con un tono quasi devoto, per lui del tutto inusuale” la propria ammirazione e riconoscenza verso Mussolini, la cui lezione era stata per lui decisiva (p.23).
Schieder dimostra questo legame di riconoscenza su due ambiti: da un lato la chiara, più volte ribadita, rinuncia a uno dei capisaldi della visione völkisch in cui pur Hitler si riconosceva con riferimento al riconoscimento che il confine del Brennero era intangibile, lasciando quindi al suo destino la popolazione tedescofona che viveva a Sud. Un riconoscimento che gli procurò non poche critiche dall’interno del proprio movimento. Il secondo aspetto è quello della visione hitleriana di politica estera, che fin dall’inizio (e pervicacemente fino alla fine) si incentrava sull’alleanza strategica con l’Italia – un elemento anch’esso inusuale nella tradizione politica tedesca, che avrebbe provocato (malcelate) critiche e molti mal di pancia negli stessi vertici del Terzo Reich.
Benché il tema sia già stato studiato, Schieder mostra sulla base di una ricca documentazione quanti tentativi Hitler abbia fatto fino al 1933 di ottenere un qualche riconoscimento formale da parte del maestro al potere a Roma, in particolare sotto forma di un invito, e quali e quanti intermediari tedeschi e italiani Hitler abbia messo in campo, invano. Spicca qui la figura di Giuseppe Renzetti, un esponente fascista ben inserito a Berlino, che divenne il tramite principale fra i due. Risulta che Hitler abbia avuto colloqui diretti con Renzetti per ben 42 volte; fu così lo straniero che Hitler incontrò più frequentemente (p. 54).
Il rapporto decisamente sbilanciato a favore di Mussolini non fu subito capovolto, dopo l’avvento al potere di Hitler a Berlino. Lo dimostra ancora il primo agognato incontro fra i due, svoltosi a Venezia nel giugno 1934. Un incontro che nella sua ben organizzata scenografia rispecchiava il permanere del rapporto fra discepolo in ammirazione e maestro sicuro di sé. Nel terzo capitolo, (pp.64ss.) Schieder ricostruisce con grande dettaglio il susseguirsi degli incontri personali fra i due; il loro svolgersi anche nelle forme esteriori evidenzia – secondo l’attenta analisi di Schieder – l’evoluzione dei rapporti bilaterali. I due costruirono a partire da quel primo incontro un linguaggio politico specifico, che rispecchiava le rispettive “Sonderbeziehungen” (p. 81), che tali sarebbero rimaste fino all’ultimo. Uno spazio particolarmente ampio è dedicato alle visite ufficiali del 1937 e del 1938 (rispettivamente Mussolini in Germania e Hitler in Italia), che furono le più lunghe, quello organizzate nel modo più ufficiale e con la più alta articolazione degli elementi simbolici pubblici.
Dal 1936 i rapporti fra i due dittatori hanno subito una svolta cruciale (p.83). Da quel momento, seppure gradualmente, i rapporti personali, oltre a quelli politico-strategici, si sono modificati su tutti gli scacchieri: la questione dell’annessione dell’Austria, la debolezza economica dell’Italia che aveva bisogno delle forniture tedesche, ma soprattutto le alleanze. Ma Hitler non ha cessato di ribadire in pubblico più volte la sua amicizia e la sua eterna riconoscenza verso Mussolini.
Anche qui la ricostruzione di Schieder è interessante e originale: sia l’Asse che il successivo Patto d’acciaio non avevano a ben vedere specifici contenuti, non erano neppure patti diplomaticamente significativi. Erano soprattutto messaggi comunicativi, verso il mondo esterno e verso i propri rispettivi popoli. “Atti di politica simbolica” (p.93), in cui Hitler indirettamente rafforzava la propria supremazia. Mentre Mussolini li interpretava e presentava come strumenti di mera propaganda, essi finivano invece per consolidare la dipendenza dell’Italia dalla politica della Germania nazionalsocialista, come si sarebbe chiaramente visto nel 1939/40. Quindi, forme della comunicazione politica, che avrebbero portato con sé conseguenze politiche tangibili e di grande rilevanza.
Dopo lo scoppio della guerra il rapporto fra i due dittatori si modificarono radicalmente. Ora era Hitler e tirare i fili, con la sua frenesia bellica, e Mussolini stava semplicemente in scia, con modesti tentativi del Duce di mantenere un qualche spazio di relativa autonomia. Ma la guerra parallela, alla quale egli aveva affidato le speranze di movimento autonomo mostrò ben presto la corda. Da quel momento, la ricostruzione di Schieder si muove su un terreno più tradizionale dal punto di vista storiografico. Prevalgono gli elementi di storia politica e soprattutto militare, anche se restano molto interessanti e dettagliate le ricostruzioni dei numerosi incontri bilaterali, che si succedettero negli anni di guerra: non più pubblici (salvo l’incontro fiorentino del 28 ottobre 1940), ma strettamente privati, molto brevi e segnati dall’ormai incontrastato predominio di Hitler sul suo sempre più spento e deluso interlocutore. Nonostante l’andamento disastroso delle campagne militari italiane, fino alla primavera del 1943 Hitler mantenne un giudizio ottimistico sulle possibilità reali dell’Italia (in aperto scontro con i propri vertici militari) e soprattutto una fedeltà verso Mussolini, l’alleato indiscusso. Le aspre critiche del Führer erano rivolte al sovrano, alla corte, ai vertici militari che gli erano legati, non a Mussolini e al fascismo – come dimostra il noto passo del suo testamento politico oltre al messaggio inviato da Hitler a Mussolini il 22 aprile 1945 per il suo compleanno, nel quale ribadiva l’alleanza antibolscevica tra i due, cementata dalla comune lotta sul fronte russo (p.179).
Anche la determinazione con cui Hitler fece cercare Mussolini dopo l’arresto del 25 luglio 1943, per liberarlo, mettendolo poi a capo di una struttura statuale fittizia e molto debole (la RSI) si spiega in buona misura con la volontà del dittatore tedesco di non cedere sulla propria linea, difendendo a tutti i costi la giustezza delle scelte politiche compiute fin dai primi anni ’20 e insistentemente, coerentemente ribadite.
Nelle brevi conclusioni, Schieder rimarca la prospettiva originale della sua ricerca: la necessità di studiare l’ascesa del nazionalsocialismo attraverso il suo “nesso transnazionale” (p. 181). Da qui la centralità dell’esempio pragmatico di Mussolini, che nell’ottobre 1922 aveva agito con decisione estrema per prendere il potere. Da quel momento Hitler ha tenuto il punto di una “fissazione eccezionale” (p. 183) verso il Duce, anche quando i dati di fatto smentivano clamorosamente la sua scelta. Ma Hitler, nella sua straordinaria egomania non poteva certo ammettere un così grave errore di valutazione, che aveva influenzato in misura non piccola la politica estera e la strategia militare del Terzo Reich.
In sintesi, si tratta di un libro importante, originale, che ripropone da una prospettiva inusuale un tema apparentemente ovvio nella storiografia internazionale: l’alleanza fra i due dittatori. Un libro che – mi si permetta l’auspicio – dovrebbe essere messo a disposizione del lettore italiano, anche per smascherare la lettura (oggi di nuovo molto diffusa) del fascismo come un qualcosa di essenzialmente diverso dal nazionalsocialismo.