Reviewer Massimo Fornasari - Università di Bologna
CitationIn ambito economico le crisi non coincidono solo con fasi di incertezza e depressione. Le crisi rappresentano anche opportunità. D'altro canto l'etimo della parola rinvia al verbo greco κρίνω che significa “separare”, “trasformare”. Le crisi separano, trasformano. Agendo in questo modo sono una componente essenziale dei moderni businness cycles; esse accelerano quel processo di “distruzione creatrice” cui si riferiva Joseph A. Schumpeter. Questo tuttavia vale non solo per le più dinamiche economie industriali ma anche per le economie pre-industriali, ritenute in genere statiche. Al contrario esse appaiono caratterizzate tanto da periodiche crisi agrarie, quanto da un’endemica instabilità commerciale ben nota agli storici economici.
Le crisi e le opportunità che esse dischiusero al mondo mercantile e degli affari tra il “lungo” XVI secolo e la metà del XIX secolo rappresentano il filo conduttore dei nove saggi raccolti nel volume. Una serie di case studies, basati su una variegata tipologia di fonti documentarie, analizza comportamenti e strategie adottati da operatori dell'Europa centrale di peso e dimensioni diverse dinnanzi alle due tipologie di crisi ricorrenti in quel lungo arco di tempo: crisi esogene, innescate da guerre, politiche monetarie ed economiche, difficoltà commerciali e finanziarie; crisi endogene, provocate dalla riorganizzazione aziendale delle compagnie, dalle difficoltà legate alla loro trasmissione alle generazioni successive, dalla diversa valutazione delle loro performance.
La complessa cornice storiografica entro cui si colloca il tema delle crisi economiche durante l’ancien regime è delineata inizialmente da Giuseppe De Luca. A partire dalla pluralità di significati che gli storici hanno attribuito al termine “crisi”, sospeso tra “teoria e realtà”, De Luca ne sottolinea la straordinaria versatilità. Crisi, stabilità e crescita sono inestricabilmente connessi anche nell'Europa pre-industriale: per discernere il ruolo svolto dalla prima occorre sviluppare indagini multidisciplinari e comparative.
Questo orientamento caratterizza innanzitutto i saggi di E. Demo, C. Jeggle, P. Gervais e M.-C. Schöpfer che affrontano il tema delle reazioni mercantili alle crisi provocate da shock esterni. Le reazioni assunsero forme diverse e in parte imprevedibili, plasmate anche in base al carattere assunto dagli shock. Nel caso dei mercanti della Terraferma veneta, studiati da Demo, esse coincisero con il rinnovamento delle strategie produttive e commerciali dinnanzi alle conseguenze potenzialmente devastanti della ‘piccola divergenza’, che portò alcune imprese a spingersi a nord sino in Svezia, alla ricerca di nuovi mercati di sbocco. Nel caso dei mercanti lombardi di generi alimentari insediatisi a Norimberga negli anni che precedettero l'avvio della guerra dei Trent'anni, studiati da Jeggle, la risposta all'instabilità politica e all'ostilità dell'ambiente mercantile autoctono consistette nel rafforzamento dei legami cooperativi interni alla colonia italiana. Diversa, alla metà del XVIII secolo, fu la reazione delle grandi compagnie dei mercanti di zucchero caraibico di Bordeaux dinnanzi ai rischi di guerra tra Francia e Inghilterra, poi manifestatisi con l'avvio della Guerra dei Sette Anni. Come dimostra il caso della compagnia Gradis, ricostruito da Gervais, la congiuntura bellica le consentì di svolgere la funzione di “price maker” sviluppando una forte speculazione commerciale resa possibile dalla estesa rete di informatori di cui disponeva e dai rapporti asimmetrici che intratteneva con i produttori di zucchero. Reazioni “creative” alle crisi da shock esterni furono proprie anche di operatori periferici come i Loscho, una famiglia di mercanti di pelli attivi negli anni Sessanta del XVIII secolo nel Canton Vallese, studiati da Schöpfer; l'adattamento all'invasione francese del 1798, che sembrò inizialmente comprometterne le attività, fu reso possibile grazie soprattutto alle molteplici relazioni commerciali da essi stabilite a livello europeo.
I successivi case studies, ricostruiti da F. Vianello, C. Lorandini e M.A. Denzel, si riferiscono alle crisi in rapporto alle dinamiche interne alle compagnie, sebbene il peculiare contesto caratterizzato dalle guerre napoleoniche, in questo caso, e dai loro successivi esiti non sia indifferente nell'orientare quelle dinamiche. Vianello e Denzel affrontano i casi di fallimento di due imprese mercantili, l'una operante nel settore serico nella Vicenza degli anni Novanta del XVIII secolo, l'altra attiva nel tessile a Bolzano nel primo ventennio del XIX secolo. Sia nel caso della compagnia vicentina di Giovanni Domenico Bonin sia in quello della ditta di Peter Paul von Menz di Bolzano la fragilità organizzativa delle imprese, le difficoltà di accesso al credito, il venir meno di incentivi personali al rinnovamento aziendale ne decisero il destino. Non così avvenne per i Salvadori, mercanti di seta di Trento, studiati da Lorandini, i quali seppero “navigare in tempi difficili” ridisegnando l'assetto organizzativo dell'impresa anche con l'aiuto di soci esterni, dando continuità a una compagnia attiva dal XVII secolo. Anche il saggio di A. Bonoldi, l'ultimo del volume, si inserisce in modo coerente nell'itinerario tracciato dai precedenti contributi, studiando il caso di un fallimento collettivo, quello ottocentesco dell'antico magistrato mercantile di Bolzano, prodotto di mutamenti politico-istituzionali e dell'incapacità del ceto mercantile locale di elaborare nuove strategie di fronte alle incipienti trasformazioni del sistema economico.
Nel complesso il quadro che emerge con convincente evidenza è quello di un mondo imprenditoriale e mercantile d'antico regime capace, entro certi limiti, di “resilienza”, di adattamento al cambiamento. Si tratta di una caratteristica di fondo che andrebbe testata, con la stessa precisione documentaria mostrata dagli autori, anche per altre aree europee: essa enfatizza i molteplici fili che legano “il mondo che abbiamo perduto” con la vera, o presunta, modernità.