Reviewer Laura Di Fiore - Università di Napoli Federico II
CitationIl volume di Isabella Consolati mette a fuoco la riflessione sugli spazi politici sviluppata in Germania dai geografi Carl Ritter, Ernst Kapp e Johann Georg Kohl nell’arco temporale compreso tra il 1815 e il 1871. Si tratta di una cronologia particolarmente significativa in relazione alla spazialità europea, dal momento che la “tempesta territoriale” che interessò il continente al tornante tra XVIII e XIX secolo, oltre a imporre una riarticolazione dei quadri politici, pose anche l’urgenza di ripensare gli spazi stessi. Urgenza che, in un secolo teso a privilegiare la dimensione del tempo sulla scorta delle dominanti teorie del progresso – come sottolineato da Foucault –, venne avvertita principalmente dai geografi, come i protagonisti di questo libro, autori di riflessioni che Consolati riunisce in un originale quadro interpretativo definito “prospettiva geografica”.
Al fine di cogliere la densità di tale concetto, è importante sottolineare che il pensiero dei tre geografi va ascritto a “un periodo seminale della scienza geografica” (p. IX) precedente alla formalizzazione della geografia politica che, se era destinata a riprenderne diversi elementi concettuali, ne avrebbe operato però una trasformazione per certi versi radicale. L’orizzonte spaziale in cui venne elaborata la “prospettiva geografica” fu molto più fluido, tanto sul piano politico quanto su quello teorico. I geografi in questione pensarono lo spazio al di fuori delle strette della “trappola territoriale” paventata da Agnew, incline a naturalizzare il nesso tra sovranità e territorio di matrice westfaliana.
Ma come si profilava lo spazio politico dei geografi tedeschi? Nell’elaborazione di Ritter, a cui è dedicato il primo capitolo del libro, le regioni storico-naturali apparivano indipendenti da qualsiasi forma organizzativa statuale e contraddistinte da un pervasivo movimento interno che le rendeva irriducibili alle cristallizzazioni di una geografia statica e ne fondava l’intrinseca politicità. Tale linea interpretativa, tesa più a porre lo spazio come problema che a proporne una semplicistica definizione, venne declinata in maniera più pratica da Kapp e Kohl – le cui teorizzazioni vengono analizzate negli altri due capitoli –, che ne trassero rilevanti implicazioni relative al ruolo dello Stato. Se lo spazio si caratterizzava in termini di movimento e non era lo Stato, in prima battuta, a dargli forma dall’esterno, che ruolo spettava a quest’ultimo? Quello di rapportarsi ai movimenti globali insiti nello spazio e amministrarli – nel senso moderno del termine – limitandone gli effetti disgregativi in direzione centripeta e indirizzando i movimenti sociali ed economici. In questo senso, la categoria di “traffico” di Kohl, considerata una fondamentale variabile geografica, segnava lo spartiacque tra una politica “artificiale” che, tanto nella forma assolutistica quanto in quella della centralizzazione amministrativa francese, si rivelava incapace di prendere in considerazione il movimento di persone e merci insito nello spazio, e una politica “naturale”, incline a gestire tale geografia dei flussi.
La “prospettiva geografica” sembra dunque indicare innanzitutto una preminenza della geografia sulla territorialità statale. Partendo da una “sconnessione” tra Land e Staat, essa consente di leggere il primo indipendentemente dal secondo e di riscontravi i caratteri politici che vi sono contenuti prima dell’entrata in scena dello Stato stesso, la cui politica non può che rapportarsi alla conformazione dello spazio e al movimento che storicamente lo produce. Quest’orizzonte di riflessione tese a dissolversi, secondo l’autrice, sul finire dell’Ottocento, quando la geografia politica di Friedrich Ratzel, che pure per certi versi si mosse in continuità con l’apparato concettuale della “prospettiva geografica”, si connotò per la centralità riconosciuta alla funzione statale di ordinare lo spazio.
Uno dei pregi del libro di Consolati consiste proprio in questo focus su un momento di elaborazione geografica in cui si ragionò sullo spazio in una prospettiva non stato-centrica, che può essere considerata particolarmente funzionale a una maggiore comprensione dello spazio in termini globali. Pensare lo spazio al di fuori della cornice statal-nazionale ha rappresentato negli ultimi decenni l’obiettivo della storia globale e, più in generale, dei filoni storiografici che, a partire dalle suggestioni dello spatial turn a cui anche questo volume si richiama, hanno eletto a proprie unità di analisi quadri alternativi rispetto a quelli politico-amministrativi, disegnati in prevalenza dal movimento e dalla circolazione di merci, persone, idee. Questi aspetti costituiscono elementi centrali nell’analisi del volume, che apporta peraltro un notevole contributo alla sinergia tra saperi storici e geografici invocata nell’ottica del ripensamento spaziale. Inoltre, il carattere intrinsecamente globale riconosciuto agli spazi anteriori alla prima globalizzazione (che l’autrice ascrive al XIX secolo secondo una delle varie interpretazioni storiografiche del fenomeno) contribuisce al rifiuto di uno schema interpretativo teleologico di una progressione dallo spazio premoderno a quello territoriale, definito dallo Stato amministrativo, per giungere, con l’evanescenza di quest’ultimo, a spazi definibili come globali. Gli spazi globali, invece, sono costantemente esistiti (ed esistono tuttora) in un orizzonte di costante compresenza di molteplici cornici spaziali, tra cui può essere annoverata anche quella statale. Il ripensamento dello spazio, così come la “prospettiva geografica”, non mirano infatti a espellere lo Stato dai quadri di analisi, ma piuttosto a storicizzarlo. Il territorio va considerato il frutto di un’istituzionalizzazione, espressa in primo luogo dai confini statali (a cui però l’autrice tende ad attribuire un carattere troppo statico, privo della dinamicità e della porosità evidenziate dai border studies); ma esso è anche il prodotto di una geografia di carattere performativo che ha indubbiamente contributo a dare forma al mondo. Il nesso tra spazio e compagine statale, naturalizzato dalla costruzione cartografica, viene qui storicizzato in maniera originale grazie alla richiamata “sconnessione” tra territorio e Stato, che schiude un inedito orizzonte di possibilità interpretative. Le “incompiute” geografie politiche al centro del volume, nella forma incerta e fluttuante che ebbero prima essere oscurate “dalla saldatura territoriale di geografia e politica” (p. 192) offrono spunti originali per ragionare sugli spazi forse meno indagati al di fuori dello schema statale, quelli politici.