Reviewer Vanessa Giannò Talamone - Università della Svizzera italiana
CitationLo studio di Anne Montenach, docente di storia moderna presso l’Università d’Aix-Marseille, è frutto del suo lavoro di abilitazione (HDR) presentato nel 2015. Il volume esamina in modo originale il contrabbando nelle Alpi francesi del XVIII secolo. Attraverso l’analisi di due tipi di commercio illecito – quello del sale e quello dei tessuti – e il sapiente incrocio di fonti di varia natura e provenienza, A. Montenach inserisce il fenomeno nel quadro delle relazioni economiche europee e internazionali, capovolge alcuni stereotipi smussando le immagini di un contrabbando in lotta contro uno Stato oppressivo, delle Alpi poste al di fuori del mercato internazionale e delle donne relegate ai margini dell’economia.
Nella prima parte del libro, l’autrice analizza il contrabbando del sale, monopolio reale, nelle valli dell’Alto Delfinato. Il territorio sembra destinato al commercio illecito di questo prodotto non solo ad uso proprio, ma anche per un guadagno economico reso possibile dalla prossimità con la frontiera politica e dalla frammentazione dello spazio fiscale francese, in quanto la regione gode di una gabella meno onerosa rispetto alle entità confinanti. Le “fermes” sono incaricate di riscuoterla, ricorrendo anche a strumenti repressivi e giudiziari. Parallelamente a questo strumento di controllo, si profila però anche un processo di negoziazione, ben evidenziato da A. Montenach. Da un lato, la popolazione si attiva incaricando con successo un mediatore di negoziare il prezzo del sale, dall’altro l’analisi dei verbali giudiziari (Archivio del deposito di sale di Briançon, 1725-60), mostra la capacità da parte dei contrabbandieri di usare la retorica per giustificare i propri atti con la necessità di sopravvivenza e quindi di saper gestire il sistema giudiziario a proprio favore. Le donne sfruttano ancor di più la propria condizione sociale, godendo di una certa immunità giudiziaria che ne incoraggia l’attività illecita. Si percepisce, da parte delle autorità, una volontà di reprimere con la forza il contrabbando, ma anche una certa tolleranza verso questa fonte di sussistenza per la popolazione meno agiata.
Nella seconda parte, l’autrice affronta il contrabbando delle indiane nel Delfinato e nel Lyonnais e le relazioni economiche con il triangolo di Lione-Ginevra-Torino, centri di produzione e di distribuzione. I tessuti stampati, importati dalle Indie, si diffondono in Francia verso la fine del XVII secolo, dapprima come bene di lusso, poi come bene di uso comune. La proibizione delle indiane (nel periodo 1686-1759 e dal 1785), decisa dallo Stato su pressione delle lobby dell’industria tessile, ne favorisce il commercio illecito. Facendo ricorso al materiale d’archivio dell’intendente Fontanieu (1724-1738) e agli archivi della dogana di Lione, A. Montenach delinea i circuiti del contrabbando, ricostruendo l’ampia rete di attori che a titolo privato o per conto di gruppi strutturati partecipano al sistema del commercio illecito mediante la produzione, il trasporto, lo stoccaggio, la distribuzione e la rivendita a cascata delle merci proibite, ma anche definendo i molteplici microspazi della clandestinità grazie all’estesa solidarietà locale. Il fenomeno del commercio illecito ha ricadute economiche sull’intero territorio. Per i mandanti, commercianti e negozianti che tirano le fila dalle città le rare sanzioni pecuniarie sono lungi dall’essere un fattore di dissuasione; esse sono tutt’al più percepite come una sorta di tassa sui propri affari.
In ambedue i casi, A. Montenach traccia una mappa estesa e capillare del fenomeno. Se da un lato collega l’area alpina ai grandi centri urbani dell’epoca, e i contrabbandieri con i commercianti di città che rispondono alle esigenze di consumo delle elite, dall’altro esso si appoggia su ampie reti di solidarietà tra classi sociali (si veda per esempio il ruolo dei notabili locali a sostegno dei contrabbandieri), come pure su un’alta densità di luoghi adibiti al mercato illecito. Lungi dal poter essere considerato solo come una forma di resistenza o di ribellione delle classi più basse verso lo Stato, A. Montenach dimostra quanto il mercato illecito sia in parte gestito da rapporti di negoziazione e come si intersechi indirettamente con il commercio europeo e internazionale. Sfruttando la propria condizione sociale e le minori sanzioni che ne conseguono, come pure l’assenza maschile in ragione della forte emigrazione, il contrabbando rappresenta poi per il mondo femminile un’opportunità di accesso a un’attività economica che si aggiunge alla pluriattività domestica.
La qualità e il valore dello studio di A. Montenach risiede proprio nell’approccio multidimensionale e nell’abilità dell’autrice di intersecare i diversi approcci come i diversi spazi, attori e classi sociali, mediante un’analisi particolarmente accurata delle fonti. Si tratta di uno studio significativo, che si ricollega al filone storiografico già tracciato da diversi studiosi che negli ultimi decenni hanno confutato le tesi di arretratezza delle popolazioni di montagna e della marginalità femminile nelle società alpine del passato; e che richiama in particolare le dinamiche ampiamente studiate da Laurence Fontaine sul “colportage”. Lo studio conferma che le comunità di montagna nelle Alpi del Delfinato erano parte di un ampio spazio transfrontaliero collegato ai grandi centri di produzione e del consumo. In questo senso, il contrabbando fu davvero una declinazione del commercio, e il divieto insito costituì un’opportunità economica, in particolare per le donne.