Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

42, 2016/1

Joanne Miyang Cho - David M. Crowe (ed.)

Germany and China

Review by: Giovanni Bernardini

Editors: Joanne Miyang Cho - David M. Crowe
Title: Germany and China. Transnational Encounters since the Eighteenth Century
Place: New York
Publisher: Palgrave Macmillan
Year: 2014
ISBN: 978-1-137-43846-1

Reviewer Giovanni Bernardini - FBK-ISIG e European University Institute

Citation
G. Bernardini, review of Joanne Miyang Cho - David M. Crowe (ed.), Germany and China. Transnational Encounters since the Eighteenth Century, New York, Palgrave Macmillan, 2014, in: ARO, 42, 2016, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2016/1/germany-and-china-transnational-encount-giovanni-bernardini/

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Il volume curato da Joanne Miyang Cho e David M. Crowe nasce da un duplice e ambizioso obiettivo, chiaramente esposto nell’introduzione dai due curatori. Innanzitutto esso si fonda sulla presa d’atto del crescente interesse del mondo storiografico (e non solo) per la Cina alla luce della sua affermazione come protagonista degli scenari politici, economici e culturali odierni. In particolare, l’identificazione e l’astrazione del rapporto tra Cina e Germania rispetto al piano più ampio delle relazioni tra Occidente ed Estremo Oriente deriva dall’osservazione che quella partnership, certamente soggetta ad alti e bassi ma mai ininfluente negli ultimi due secoli, sta oggi raggiungendo un nuovo stadio ancora tutto da comprendere ma che ne fa già dei partner privilegiati: certamente sul piano economico, possibilmente su quello politico nel prossimo futuro. La raccolta di approfondimenti su temi specifici degli ultimi due secoli, dunque, è offerta al servizio del lettore che voglia ricostruire la «preistoria» di tale rapporto, teso tra fascinazione e diffidenza, tra il desiderio di comprendere e quello di trarre vantaggi immediati. Per volontà dei curatori, quindi, il volume cerca di fornire «una presentazione comprensiva e un’analisi delle relazioni sino-tedesche dal diciottesimo al ventesimo secolo più ampia di qualunque volume esistente sull’argomento». Il secondo obiettivo perseguito dal volume è di natura metodologica e riguarda la scelta condivisa di prediligere un approccio transnazionale al tema che consenta ulteriormente di sottrarre la ricostruzione del passato tedesco ai canoni classici del Sonderweg, per inserirlo in una più ampia narrazione delle interdipendenze che hanno caratterizzato lo sviluppo della storia mondiale. Storia transnazionale, precisano utilmente i curatori: non «globale», poiché il focus dell’analisi non risiede tanto nella comparazione o nella mera giustapposizione di esempi presi a ogni angolo del mondo; né «transculturale», definizione ritenuta limitante poiché tenderebbe a escludere gli aspetti politici e sociali delle vicende trattate. Storia transnazionale dunque equivale a «concentrarsi sulle zone di contatto, sui processi di adattamento e scambio, sui modi di trasferimento, in modo da attraversare i confini in un contesto globale».

Il volume è diviso in tre parti. I cinque contributi che compongono la prima si concentrano sul periodo tra il XVIII secolo e la Prima guerra mondiale, e cioè sulla lunga fase di conoscenza reciproca tra i due mondi politici e culturali attraverso i rari scambi e contatti, e soprattutto attraverso i media della letteratura, delle traduzioni e degli scarsi viaggiatori in una direzione o nell’altra (con un posto di riguardo per i missionari). Così il saggio di Peter K.J. Park e quello di Nicholas A. Germana esaminano l’influenza che la Cina ha avuto nella riflessione degli illuministi e di Hegel. Se ne trae l’impressione che, indipendentemente dalla disponibilità di fonti dirette, la costruzione dell’immagine della Cina sia servita soprattutto per definire nel bene e nel male un «altro dall’Europa» necessario al discorso filosofico al fine di chiarire i caratteri peculiari di quest’ultima. In direzione simile va il saggio di Martin Rosenstock, che analizza gli scritti del missionario tedesco dell’Ottocento Karl Gützlaff attraverso i quali egli fornì resoconti molto influenti dell’«Impero di Mezzo». Il saggio di Lydia Gerber è purtroppo l’unico a trattare l’interessante questione delle «concessioni» di cui la Germania, al pari delle altre potenze occidentali, godette in Cina dalla fine dell’Ottocento fino al loro abbandono forzato dopo la sconfitta del 1918: per quanto il periodo sia stato relativamente breve, le forme di interazione e contaminazione tra la presenza organizzata tedesca e la società cinese possono offrire ancora molto spazio all’analisi. Infine, il saggio di Crowe sembra muoversi su coordinate più tradizionali rispetto ai propositi e ripercorrere l’andamento dei rapporti economici e politici tra i due paesi, soprattutto dal punto di vista tedesco oscillante tra l’interesse per le enormi potenzialità dell’espansione in Cina e i timori del «pericolo giallo».

La seconda parte guarda alla fase di intenso scambio e interazione del periodo tra le due guerre, quando (ricorda il saggio di Christian Swanson e di David Crowe) la Cina rappresentava un’opportunità per la Germania in cerca di mercati e risorse fuori dalle «catene» del Trattato di Versailles; e d’altro canto la cooperazione con la rinnovata potenza tecnologica e militare tedesca esercitava grande fascino sul regime nazionalista repubblicano cinese. Questo non significa che la retorica sul «pericolo giallo» fosse scomparsa dal discorso pubblico: essa riemergeva intatta (come mostra il saggio di Lee M. Roberts) persino tra quelle centinaia di ebrei tedeschi e austriaci che trovarono scampo dalla persecuzione nazista a Shanghai. Il saggio di Shellen Xiao Wu illustra la durevole influenza della riflessione geografica e geopolitica tedesca nelle valutazioni di parte dell’intellighenzia cinese, e dunque sul modo in cui essi guardavano al mondo. I saggi di Wehdeking e di Cho introducono alle riflessioni letterarie e filosofiche rispettivamente di Herman Hesse e Albert Schweitzer, restituendo l’immagine della Cina che esse contengono.

Infine, la terza parte è composta di quattro saggi dedicati al periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, nel tentativo di comprendere entrambi gli stati tedeschi (mentre Taiwan riveste un ruolo decisamente minore nel volume). Così David Tompkins ricostruisce le mutazioni subite dall’immagine della Cina comunista nella cultura politica della Repubblica Democratica Tedesca fino agli anni Sessanta, in conseguenza delle evoluzioni politiche all’interno del blocco socialista. Dall’altra parte della cortina di ferro, Sebastian Gehrig ricostruisce il posto della Cina nell’immaginario politico della Repubblica Federale Tedesca, inclusa quella sinistra extraparlamentare che guardò con interesse all’esperimento maoista. I resoconti di eminenti viaggiatori tedeschi (tra cui Günther Grass) in visita nel gigante asiatico sono oggetto del saggio di Min Zhou. Infine, il contributo di Michael Mayer torna a temi più tradizionali della storia politicodiplomatica nell’approfondire le relazioni tra la Cina e i due stati tedeschi nel biennio 1989-1990, così gravido di eventi per tutti e tre i paesi.

Il volume ha certamente molti meriti, non ultimo quello di stimolare il lettore a forzare i limiti tematici e metodologici delle sue competenze e a confrontarsi con una pluralità di letture e paradigmi interpretativi. Certamente il livello dei saggi è qualitativamente alto (lo stesso non può dirsi del lavoro di editing) e non sussistono dubbi sulla facile profezia che la raccolta nel complesso rimarrà a lungo un passaggio obbligato per chiunque voglia studiare i rapporti sinotedeschi con il giusto respiro. Tuttavia è necessario rilevare che non sempre i contributi rispondono alla cornice metodologica esposta inizialmente, che dunque finisce per rimanere una pur legittima dichiarazione di un obiettivo tendenziale. Inoltre, sebbene il volume meriti il giusto apprezzamento per il tentativo di contenere un così ampio orizzonte temporale e tematico, non di rado si ha la sensazione che la cornice sino-tedesca risulti insufficiente e che in futuro sarà necessario estenderla a comprendere le più ampie relazioni tra Europa ed Estremo Oriente. A questo proposito, però, i limiti del volume in questione possono anche essere letti come altrettanti stimoli a proseguire l’indagine qui avviata con grande merito.

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