Reviewer Marco Tamborini - TU Darmstadt
CitationTra il 1909 e il 1913 il Museum für Naturkunde di Berlino condusse una delle più importanti spedizioni paleontologiche mai realizzate. Nei pressi di Tendaguru, in Tanzania (a quel tempo colonia tedesca), un ingegnere tedesco s’imbatté casualmente in alcune ossa di grande dimensione che fuoriuscivano dal terreno. Egli capì immediatamente che erano ossa di dinosauro. Appena appresa la notizia, il Museum für Naturkunde mise in atto uno sforzo senza precedenti per giungere per primo sul luogo della scoperta e intraprendere così gli scavi per portare alla luce l’organismo estino. Grazie all’aiuto di circa ottocento aiutanti locali, tutte le parti dell’animale furono correttamente estratte, pulite e infine spedite a Berlino. Dopo un lungo lavoro preparatorio durato circa vent’anni, il dinosauro fu ricomposto ed esposto nella sala principale del museo. Da quel giorno in poi la sagoma del Brachiosaurus brancai, così fu classificato l’animale casualmente trovato in Tanzania, rappresenta il Museum für Naturkunde di Berlino nel mondo.
Nel cuore di questa eccezionale impresa paleontologica si trova un’importatane pratica scientifica che costituisce a sua volta il tema dell’interessante libro di Michael Ohl: l’arte della denominazione. I paleontologi dovettero, infatti, per prima cosa nominare, classificare e catalogare i resti fossili via via che questi emersero dagli scavi. Come risultato, i paleontologi ottennero importanti informazioni sul corso dell’evoluzione biologica.
La pratica di catalogazione e denominazione dei singoli reperti fossili emersi dal terreno non solo fornì dati corretti per una possibile ricostruzione biologica, ma anche offrì un prezioso strumento per ottenere un riconoscimento sociale e politico. Infatti, il più grande esemplare di dinosauro portato alla luce in Tanzania fu chiamato Brachiosaurus brancai. Esso fu denominato in questo modo poiché, da un lato, l’organismo presentò caratteristiche simili agli altri brachiosauri (collo lungo, piccolo cranio, corporatura grossa e zampe anteriori più lunghe di quelle posteriori), ma, dall’altro, i paleontologi scelsero di utilizzare il nome brancai per glorificare, onorare e lasciare un posto immortale nella storia della paleontologia al direttore del Museum für Naturkunde di Berlino, il celebre paleontologo Wilhelm von Branca (1844-1928). Allo stesso modo vennero nominati altri organismi per onorare personalità eccellenti stringendo così indispensabili rapporti sociali, finanziari e politici a vantaggio del museo di Berlino. Per esempio, un altro sauropode scoperto in Tanzania, fu descritto e nominato dal capo della spedizione paleontologica come Dicraeosaurus hansemanni in onore di David Paul von Hansemann (1858-1920) un importante patologo, mecenate e banchiere tedesco.
Die Kunst der Benennung tematizza i passaggi essenziali che sottendono e rendono possibile la classificazione degli organismi. In questo modo, Michael Ohl fa luce sia sullo sviluppo storico della conoscenza e delle pratiche biologiche sia sulle importanti relazioni sociali e politiche che sottendono e fondano implicitamente questa conoscenza: l’arte della denominazione, come scrive l’autore del testo, è quindi «rilevante e importante, essa è onnipresente» (p. 9).
In undici interessanti e ben scritti capitoli, Michael Ohl analizza quest’arte cercando, da un lato, di spiegare su cosa si fonda il grado soggettivo che fa di essa appunto un’arte affascinante e onnicomprensiva; dall’altro, esamina come essa possa contribuire all’avanzamento della nostra conoscenza biologica. Il testo può, infatti, essere idealmente diviso in due macro sezioni: esso analizza in dettaglio gli elementi, i presupposti scientifici e le conseguenze della tassonomia biologica e al contempo dipana gli elementi sociali, politici ed economici che guidano ed indirizzano le scelte fatte da biologi. Questo secondo gruppo di tematiche completano così lo studio degli elementi non scientifici che caratterizzano ogni prassi scientifica.
Ohl analizza la pratica di denominazione da innumerevoli prospettive cercando così di cogliere l’elemento invariabile che sottende alla libertà propria del tassonomista: Die Kunst der Benennung, infatti, non è un mero testo divulgativo di biologia. Partendo dalla descrizione del lavoro del tassonomista, il libro tratta temi ben più ampi che s’intrecciano con la filosofia, la linguistica e la sociologia. Per esempio, alcune domande che guidano l’autore nel comprendere i presupposti scientifici della designazione biologica sono: che cos’è un nome? Quando è biologicamente adeguato e corretto? (p. 38) Come si forma una pratica tassonomica e quale decorso segue? (p. 60) Considerando che si possono sempre trovare differenze tra animali, quanto marcate devono essere queste per parlare correttamente di due distinte specie biologiche? O ancora, che statuto linguistico, ontologico ed epistemico hanno le parole che si usano per denominare le specie? (p. 90) Ed infine, in che misura il modo in cui noi scegliamo ed usiamo specifici e particolari nomi per designare organismi biologici influenza l’avanzamento della nostra conoscenza biologica e i successivi procedimenti?
Ohl si serve d’innumerevoli fonti, che spaziano dalla linguistica alla storia e filosofia della scienza, per rispondere a queste domande catturando in tal modo l’attenzione anche del lettore meno esperto. L’autore lo guida nella complessità dell’argomento. Per esempio, nel terzo capitolo Ohl tratta un’intricata e difficile domanda che affligge da tempo filosofi, linguisti, e storici della scienza: cos’e una specie biologica? Per dipanare questo problema, senza cadere tuttavia in tecnicismi vietati dalla natura divulgativa del testo, Ohl decide di iniziare il capitolo con un breve, interessante e coinvolgente caso di studio.
Nel 1924 il paleontologo americano Henry Fairfield Osborn (1857-1935) descrisse e nominò una nuova specie di dinosauro Oviraptor (letteralmente ladro di uova) poiché il suo cranio fu trovato nei pressi di un nido di uova. Osborn ipotizzò quindi che il dinosauro fosse morto cercando di divorare le uova presenti nel nido. Questa spiegazione, popolarizzata dal nome altamente evocativo, richiamò un vasto pubblico verso l’American Museum of Natural History di New York. Tuttavia, nel 1993 il paleontologo americano Mark Norell scoprì altri Oviraptor fossilizzati nella classica posa tipica degli uccelli mentre covano le loro uova. Apparve così evidente che, nonostante il suo etimo, la specie Oviraptor non si nutrisse di uova, ma che il suo comportamento fosse più simile agli uccelli.
Da quest’esempio, Ohl indaga la natura delle classificazioni biologiche: poiché la caratteristica centrale della specie Oviraptor (il rubare e nutrirsi di uova) si è rivelata erronea, deve essere modificato il suo nome? Esiste in biologia una relazione unidirezionale tra nominante e nominato? Oppure i nomi funzionano come mere etichette? Per rispondere a queste domande l’autore esamina in pagine fortemente teoretiche, ma mai eccessivamente tecniche, la natura ontologica, linguistica ed epistemica dei nomi delle specie, se questi siano o meno nomi propri ed infine quale statuto abbiano le specie biologiche.
La stessa tecnica argomentativa caratterizza lo studio e l’esposizione degli elementi non scientifici che formano e guidano la denominazione delle specie. Per esempio, anche l’attenzione del più disattento lettore è catturata dal titolo del sesto capitolo: «nomino questo coleottero con il nome della mia amata moglie» (p. 167). In questa parte del testo Ohl si concentra espressamente sulle condizioni sociali che guidano l’arte della denominazione: per quale motivo un biologo nomina una specie con il nome della propria moglie o del direttore del museo per il quale lavora (com’è accaduto per il Brachiosaurus brancai) o di un cantante?
Ohl risponde a questa domanda ponendo l’accento sulla natura sociale della conoscenza scientifica: nomi strani e sorprendenti come per esempio Heteropoda davidbowie «funzionano come vivaci manifesti pubblicitari, che attirano pubblico» (p. 178). Nominando una specie in onore a un politico influente, uno scienziato importante oppure un cantante famoso, il biologo è in grado di attirare l’opinione pubblica ottenendo in questo modo maggiore supporto sociale ed economico.
Per riassumere, l’alternanza dei temi scelti per chiarire la pratica della denominazione biologica costituisce il punto di forza del libro di Michael Ohl: Die Kunst der Benennung spiega, informa e diverte il lettore senza mai condurlo in tecnicismi inutili. Questo libro è perciò benvenuto nelle librerie tedesche orfane di testi di storia della scienza che siano accessibili, chiari e al contempo teoreticamente solidi. Unica pecca del volume è l’assenza di una descrizione dettagliata, fondata su fonti primarie e non solamente sulla letteratura secondaria, di come quest’arte sia cambiata nel tempo e su quali presupposti storici essa si fondi. Tuttavia, questo è forse il compito per una nuova ricerca che prenda avvio dal quadro storiografico aperto da Michael Ohl in modo da ampliarlo e rivederlo, per così dire, dal basso delle fonti primarie.