Reviewer Fernanda Alfieri - FBK-ISIG
CitationIl volume curato da Rob Boddice esplora le molte sfaccettature del dolore fra tarda età moderna ed età contemporanea, sia esso fisico, sia esso psicologico, procurato o vissuto (da sé o da altri).
Come esplicitato in introduzione (cap. I) la dimensione emotiva del dolore è tuttavia centrale, osservata negli ambiti della scienza medica (Moscoso, Culley), del vissuto dell’esperienza militare (Bourke, Witte), delle rappresentazioni visive (Rees), della maternità e della genitorialità (Wood, Raphael), del crimine e della giustizia (Grey, Sedgwick), della civiltà asiatica (Santangelo), della neuropsicologia umana ed animale (Biro, Gray). I contesti geo-culturali osservati spaziano dall’Europa al Nordamerica, dall’Inghilterra alla Cina e al Giappone, in un lungo arco temporale che si situa fra età moderna e tempo presente. Molti sono i possibili attraversamenti diacronici e le connessioni fra i mondi considerati. Il saggio di Javier Moscoso (cap. II), dedicato ai rimedi prescritti nel tardo Settecento europeo per le patologie che la medicina contemporanea definisce tumorali, rileva, oltre alle attese discontinuità (a partire dalle cifre delle occorrenze registrate: 2,4% a metà Ottocento, 25% oggi), anche persistenze, la più rilevante delle quali, secondo l’autore, è l’«economia morale della speranza», ovvero «la forma culturale attraverso la quale dolore e paura vengono controbilanciate da aspettative e promesse di guarigione» (p. 31). Il terzo e il quarto saggio affrontano la crucialità della rappresentazione metaforica del dolore psichico come incarnato e somatizzato, attraversando rispettivamente l’immaginario collettivo della Cina tardo imperiale (Paolo Santangelo) e le narrazioni otto e novecentesche (David Biro), e rilevando, nella distanza cronologica e culturale dei casi considerati, il ricorrere di concezioni olistiche e di linguaggi non dissimili. La parte centrale del volume mette a confronto la dimensione istituzionale (poteri e saperi medici e giudiziari) e il vissuto soggettivo. Joanna Bourke (cap. V) analizza l’esperienza dell’«arto fantasma» vissuta da un veterano inglese della Prima guerra mondiale, al cui dolore fisico, realmente esperito benché per una gamba non più esistente (qui torna la questione del rapporto tra corpo ed emozione: può esserci dolore senza corpo?) si aggiunge quello psichico, dovuto al protrarsi nell’arco di una vita dell’inutilità delle cure, e alla inesorabilità della menomazione. I capitoli successivi (Wilfried Witte, Noémi Tousignant, Sheena Culley) controbilanciano l’analisi microstorica di Bourke, mostrando l’atteggiamento dei medici nei confronti del dolore cronico nella Germania del secondo dopoguerra (cap. VI), le tecniche algometriche nella clinica statunitense negli anni Cinquanta del Novecento, fra narrazione emotiva dei pazienti interrogati e tentativi di misurazione oggettiva (cap. VII), e le politiche di marketing degli analgesici nell’industria farmaceutica europea otto-novecentesca (cap. VIII).
Una delle questioni cruciali del volume, che torna in molti dei contributi raccolti, è la relazione fra emozionalità e fisicità del dolore. Se il citato saggio di Bourke narra la vicenda di dolore «reale» percepita per un arto inesistente, il saggio di Liz Gray (cap. IX) analizza il problema partendo dalla psicologia comparativa tardo ottocentesca, che giunge a riconoscere sofferenza psichica negli animali, passando attraverso la ineludibile presa d’atto della loro capacità di patire dolore fisico. Quello di Danny Rees, invece (cap. X), illustra i tentativi attuati nella tarda età moderna di codificare le espressioni facciali del dolore (come leggere la sofferenza, anche quella psichica, nei suoi segni fisici?), dalla fisiognomica secentesca del pittore Charles Lebrun agli ottocenteschi esperimenti fisiologici di Guillaume Duchenne. Whitney Wood e Daniel J.R. Grey affrontano poi rispettivamente la progressiva patologizzazione della maternità, veicolata dall’argomento della eccessiva sensibilità femminile (cap. XI) e dalla reazione di istituzioni e pubblico all’infanticidio in Gran Bretagna fra Otto e Novecento, fra condanna ed compassione (cap. XII). Il tema della percezione della sofferenza altrui occupa invece i tre capitoli conclusivi, fra fiction (Linda Raphael), tribunali militari (James Burnham Sedgwick) e arte contemporanea (Johanna Willenfelt).
Questa indagine si colloca all’interno del fiorente ambito di studi di storia delle emozioni, alla quale l’editore ha dedicato una collana ad hoc («Palgrave Studies in the History of Emotions») inaugurata dal volume qui in oggetto, e promossa da numerosi centri di ricerca cui l’autore fa riferimento, dal centro Geschichte der Gefühle del Max-Planck-Institut für Bildungsforschung, dal cluster Languages of emotions della Freie Universität di Berlino, al Birkbeck Pain Project della londinese Wellcome Trust. Il saggio di apertura esplicita che del dolore si parlerà in quanto emozione: esprimibile, interpretabile, codificabile, rappresentabile. Questo non significa (ragionando in termini erratamente dicotomici) escludere la dimensione cosiddetta «razionale» o quella fisica. Anzi, come accennato, proprio sulla relazione sfaccettata fra queste dimensioni il volume insiste. Esemplare a questo proposito è il citato saggio di Biro, che, spaziando fra letteratura e diaristica fra Otto e Novecento indaga sulle rappresentazioni della sofferenza emotiva veicolate dalla metafora del dolore fisico, dimostrando la liminarità, quando non la concidenza tra i due ambiti. Avvalendosi delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, mostra inoltre come la sofferenza psichica generata da un vissuto di esclusione sociale o da un’esperienza di lutto trovi localizzazione cerebrale quanto il dolore provocato da una ferita corporea. La storiografia delle emozioni pare del resto avere esorcizzato il rischio delle letture dicotomiche, facendo proprie non soltanto le acquisizioni, risalenti agli anni Sessanta, degli psicologi Magda Arnold e Richard Lazarus (che con la appraisal theory intendevano le emozioni non tanto come delle reazioni, delle risposte meccaniche, ma dei giudizi, al contempo fisici e mentali, parte integrante dei processi di valutazione) ma anche le più recenti teorie neuroscientifiche, a partire dal lavoro capostipite di Antonio Damasio (Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, 1994) che invita a superare la separazione cartesiana fra res cogitans e rex estensa e a considerare l’essenzialità del valore cognitivo del sentimento. L’espansione degli ambiti di osservazione delle emozioni è quindi potenzialmente illimitata, per il riconosciuto valore intrinseco all’esperienza umana che le discipline concordano nel riconoscere alla sfera degli affetti.
Affetti, sentimenti, emozioni: i termini impiegati fin qui sono sinonimi, ma non in toto, essendo ognuno discendente da universi epistemici differenti (come già rilevato da Thomas Dixon, in From Passions to Emotions, 2003). Lo stesso, rileva Boddice, si può affermare per pain, suffering, ache (per citare alcune occorrenze). Questa fluttuazione semantica, in primis dell’identificazione dell’oggetto del contendere (emozioni, affetti, sentimenti?) alla quale la storiografia ha guardato con inquietudine, temendone il risvolto di genericità, è sintomatica, in realtà, della pluralità di implicazioni della dimensione emotiva e degli altrettanto plurali ambiti in cui essa è stata, nei secoli, codificata. Di questa pluralità di prospettive il volume in oggetto restituisce un quadro efficace.