Reviewer Émilie Delivré
CitationNel suo ultimo libro Rudolf Schlögl, professore ordinario dell’Università di Costanza e portavoce dell’Exzellenzcluster «Kulturelle Grundlagen von Integration», affronta il tema della trasformazione sociale del cristianesimo europeo fra 1750 e 1850, un arco temporale che ha soprattutto valore di orientamento. Considera la religione come un fenomeno sociale, che solo nel contesto della società può essere compreso in quanto struttura.
Partendo dal presupposto che la religione troppo spesso, sia dagli storici della Chiesa che dagli storici «profani», è stata relegata nella funzione di contrappunto o di sfera particolare nella società, l’autore sceglie una nuova chiave di lettura ispirata dalla teoria dei sistemi sociali del sociologo Niklas Luhmann. Schlögl sviluppa un concetto di religione basato sulla teoria di Luhmann della comunicazione e dei media, che presuppone l’emergenza di fenomeni sociali secondo una dinamica circolare e nella quale la stabilità dei modelli di ordine (Ordnungsmuster) garantisce se stessa attraverso la differenziazione di senso. Qui non è una storia di fatti e di dati, dal momento che, secondo questo approccio, i modelli d’ordine e la loro riproduzione non vanno ricondotti a origini individuali. Per l’autore, la realtà è il risultato di osservazioni. E la scienza in particolare rileva come nelle stesse osservazioni e nella loro comunicazione, la realtà sociale diventa realtà strutturata per i Beteiligten (partecipanti). Nel caso della religione, per l’autore si tratta perciò di studiare come il cristianesimo emerge, fra 1750 e 1850, come religione della società e come viene «messa in forma» (In-Form-gesetzt).
In una descrizione e un’analisi funzionalista degli eventi sociali, il fenomeno sociale viene inteso come soluzione di un problema in presenza di possibili alternative. Quale era la religione della società? Per Schlögl, la formazione di senso religioso equivale a una certa consapevolezza di sé e del mondo: è il dare un senso all’estraneo e così ricondurlo in un mondo familiare. L’esperienza dell’infinito porta alla sua comunicazione e alla sua potenziale istituzionalizzazione, che avviene attraverso la ripetuta differenziazione di senso. Quest’ultima si stabilisce quando non solo la religione, ma anche l’intera società si struttura intorno al paradosso dell’immanenza/trascendenza. A questo punto, la religione è talmente partecipe del Selbstbezug sociale (la coscienza di sé) e dell’ordine sociale, che diventa impossibile studiare la forma sociale della religione e la sua semantica senza analizzare la struttura sociale e la sua descrizione di se stessa. In quale costellazione allora, chiede l’autore, il cristianesimo, nella sua forma sociale, è divenuto religione della società e quando invece le differenze di confessione si sono particolarmente accentuate? A cavallo fra Settecento e Ottocento, come è stato possibile riprodurre la differenziazione della religione nel quadro del nuovo ordine sociale? Come strumento di inclusione ed esclusione sociale in contrappunto al potere temporale, la religione ha sempre avuto necessità di essere in continua missione e adattarsi al sistema per concorrere con altre alternative.
Sopravvissuto all’aspro gergo dell’introduzione, il lettore segue poi quasi con sollievo i quattro capitoli che permettono all’autore di rispondere alla coraggiosa problematizzazione introduttiva. Il primo capitolo indaga il cristianesimo nell’Antico Regime, descrivendo l’intreccio fra le chiese e il potere statale in una società gerarchica e il mantenimento dei privilegi (nella loro sottile differenziazione le due sfere si alimentano l’una con l’altra nei loro meccanismi di riproduzione). Alla fine del Settecento, le tensioni si moltiplicano sempre di più in quella che l’autore chiama la «concorrenza simbiotica» fra potere religioso e potere temporale, soprattutto nelle regioni cattoliche, che portano a delle riforme influendo profondamente su pietà, vita e strutture religiose.
Il secondo capitolo tratta di come il cristianesimo si è adattato alla società postrivoluzione (Bürgergesellschaft). La Rivoluzione francese pone come condizione per la partecipazione delle chiese confessionali alla nuova società una fondamentale secolarizzazione nonché la pluralità religiosa. La confessione diventa cosa privata e non può più, secondo l’autore, essere strumento d’inclusione sociale. Essa guadagna invece importanza nello spazio politico, infatti il religioso è ora considerato, da tutte le nuove teorie sociali, premessa e presupposto alla socializzazione moderna. Simboli e rituali cristiani servono da archivio (Archiv) per offrire alle monarchie costituzionali una fisionomia moderna e presentare la nazione come spazio d’esperienza. Simboli e rituali cristiani sarebbero testimoni della contemporaneità del non contemporaneo, cari a Marc Bloch e Reinhart Koselleck (la non-simultanéité des simultanés o Gleichzeitigkeit des Ungleichzeitigen) e secondo questi propri del moderno. La religione è allora lo strumento ideale del politico, ne può diventare un oggetto, un’opzione, quasi espropriata di ciò che le era proprio.
Nel terzo capitolo, l’autore si concentra sul cambiamento delle istituzioni e della pietà cristiana. Si chiede come mai l’intensificazione della comunicazione religiosa sia diventata un problema centrale della religione come sistema sociale. In risposta all’emergenza di una società di cittadini (Bürgergesellschaft), si sviluppano diversi tipi di organizzazione e di movimenti sociali, sempre più sovraregionali e anche mondiali, che fra l’altro portano a una drammatizzazione dell’appartenenza a una confessione: ormai essa è basata sulla volontà individuale e la secolarizzazione appare allora come è, cioè non il contrario della religione, ma parte costitutiva della storia religiosa nel moderno. La pietà per esempio, luogo dove prende forma la trascendenza (In-Form-Setzung der Transzendenz), si aggancia a nuovi processi di inclusione sociale, soprattutto attraverso il peso sempre più importante della famiglia, nonché la femminilizzazione del cristianesimo europeo.
Nel quarto capitolo, la religione viene studiata come cultura, attraverso descrizioni e commenti di contemporanei come Hume, Vico o Herder che consentono all’autore di rintracciare spostamenti nella semantica della religione, e in particolare riguardo le sue origini, forme e funzioni. Soffermandosi su tematiche quali il deismo, la religione e le religioni, la rivelazione, l’autore conclude che il cristianesimo diventa cultura perché ormai è religione accanto a tante altre. Con l’avvento dell’individuo, la rivelazione così come il mantenimento dell’ordine sociale non sono più stati di attualità: nel moderno, l’uomo osserva in Dio soprattutto se stesso.
In un’ultima riflessione, Schlögl riprende il tema storiografico della secolarizzazione e conclude che essa avvenne senz’altro, anche se si tratta di darne una giusta definizione: non quella spesso data da un’ideologia nata dal Kulturkampf (si vedano i lavori di Manuel Borutta), ma piuttosto una categoria di osservazione che rintraccia processi di comunicazione permettendo al religioso di diventare un mondo a se stante, accanto ad altri mondi.
Così si conclude un’opera monumentale e molto stimolante, anche se troppo spesso resa difficile da una semantica sociologica complicata spalmata non sempre necessariamente sul pane di una riflessione brillante. Dello studio, l’autore riconosce i limiti confessionali che spesso riducono il cristianesimo al cattolicesimo e alle religioni riformate, nonché i suoi limiti spaziali, con un’Europa rappresentata solo nella sua parte occidentale e centrale.