Reviewer Irene Fosi - Università G. D'Annunzio, Chieti - Pescara
CitationNon sono certo mancate, negli ultimi decenni, ricerche sul papato e su Roma in età moderna. Dopo il magistrale studio di Paolo Prodi, Il sovrano pontefice (1982) si sono aperte infatti, in diverse direzioni, indagini sia sulla corte romana, influenzate ancora dall’interesse che sul tema ‘corte’ avevano suscitato gli studi di Norbert Elias, sia sulla curia, sul reclutamento e le carriere di cardinali e prelati, sulle famiglie pontificie e sulla familia, così come su altri percorsi di affermazione, individuale e familiare, nel mare tempestoso della corte papale e della società romana. In questo panorama assai vivace e policromo, sembrava ormai messa da parte l’anacronistica interpretazione di un papato relegato ai margini della politica europea, decadente e arretrato, e di una Roma ‘papalina’ (si badi bene, non papale!), corrotta, violenta e bigotta, che a lungo ha dominato nella tradizione storiografica italiana, segnata dall’anticlericalismo risorgimentale e liberale e, in Europa, da una leggenda nera originata nel secolo della Riforma e nutrita in seguito dalle idee illuministe e rivoluzionarie. Gli studi che si sono susseguiti dagli anni Ottanta in poi del secolo passato non si sono proposti – almeno la maggior parte di essi – di costruire e diffondere un’interpretazione apologetica, ma di verificare con indagini mirate su tematiche di grande respiro l’originalità della corte e della curia pontificie nel più ampio contesto italiano ed europeo, in un arco cronologico segnato, da un lato, dalla rottura dell’unità cristiana, e dall’altro, dal progressivo affermarsi delle monarchie nazionali. In cosa differivano i meccanismi di governo pontifici, la struttura delle congregazioni, le funzioni dei cardinali nepoti da analoghe figure o da istituzioni che, con nome diverso, erano presenti nelle monarchie europee? Quali i sistemi e le forme di reclutamento? Quale la funzione del cerimoniale, della propaganda, del mecenatismo? E fuori dalla corte, nella città del papa, quali erano i riflessi che una monarchia non elettiva lasciava sia nel tessuto urbanistico che in quello sociale? Quale peso esercitavano le famiglie, soprattutto quelle ‘nuove’, nel favorire le carriere ecclesiastiche di un loro esponente, esercitando un compatto «gioco di squadra»? Papato e corte di Roma non sono stati però oggetto solo di ricerche italiane: storici tedeschi come Wolfgang Reinhard e la sua scuola hanno analizzato il pontificato di Paolo V, studiosi francesi hanno promosso indagini sulla struttura, il funzionamento di congregazioni curiali e il reclutamento del personale, non solo a Roma ma anche nelle altre città dello Stato pontificio. Se, inoltre, la diplomazia pontificia rimane al centro di ricerche alimentate sia da pregevoli edizioni di fonti – come le Nunziature e le Istruzioni – sia da una vivace e rinnovata storia politica, negli studi più recenti si afferma sempre più la dimensione mondiale del papato, non solo sollecitata dalle seducenti ma non sempre chiare premesse della global history, quanto piuttosto dallo studio di apparati curiali che, proprio nella loro funzione, vengono ad essere interlocutori essenziali fra Roma e il mondo: da Propaganda Fide alla Congregazione del Concilio, dalla Penitenzieria Apostolica, alla Dataria, alla funzione di ordini religiosi e al loro rapporto col papato. In questo panorama ricco e sfaccettato possiamo senz’altro affermare che manchino opere di sintesi. Il libro di Volker Reinhardt, storico tedesco formatosi alla scuola di Wolfgang Reinhard che profondamente e in maniera critica si è confrontato con l’impostazione e i concetti con i quali il maestro friburgense ha analizzato il pontificato di Paolo V, si propone invece di descrivere in una ricca sintesi il Seicento, o meglio l’età barocca, come qui viene definito il secolo decisivo per l’affermazione del papato post-tridentino. L’autore non è nuovo a queste sintesi che hanno esposto, in maniera ben documentata e fruibile anche da un pubblico di non specialisti, i risultati di ricerche sia di storici tedeschi che italiani. Autore di pregevoli studi, in particolare sull’Annona e la politica annonaria dei pontefici in età moderna, Reinhardt ha poi spostato la sua attenzione sulle espressioni artistiche che, nel corso dell’età moderna, e soprattutto fra tardo Cinquecento e inizio Settecento, hanno marcato la città del papa con la precisa impronta del committente – il pontefice stesso, la sua famiglia, e sempre più il cardinal nepote – per veicolare messaggi politici. In una monarchia elettiva come quella pontificia era fondamentale lasciare un’impronta visibile che segnasse non solo complessivamente il significato della politica perseguita dal pontefice, ma legassero ad essa strettamente l’onore e il prestigio familiare, in un indissolubile intreccio, ricco di valenze simboliche. L’attenzione ai monumenti sepolcrali, alle tombe dei pontefici e dei cardinali, alla ritrattistica funeraria così come alla decorazione di chiese e cappelle rivela, anche in questo testo, un’apertura metodologica e una lettura originale del complesso significato della committenza pontificia in età barocca. Articolato in quattordici, densi capitoli, il libro ripercorre momenti essenziali sia della politica pontificia che del suo riflettersi nella città: dal conclave, con le sue diverse procedure di elezione, ai meccanismi di reclutamento e di carriera nella corte romana, dove raggiungere il cardinalato era un percorso affatto scontato e decisamente accidentato anche per chi nella carriera ecclesiastica aveva investito ingenti somme di denaro. Gli esempi a questo proposito non mancano, soprattutto nei pontificati Borghese, Barberini e Chigi, oggetto di sue specifiche ricerche anche in passato. La corte, la curia e la città si fondono in questo scenario in un indissolubile intreccio: la città non è solo lo sfondo di un palcoscenico che ha per protagoniste la corte, la curia, la famiglia del pontefice, ma diventa a sua volta la protagonista, nelle feste, nella violenza quotidiana e rituale, nelle molteplici espressioni di devozione che si manifestano nelle chiese, nelle strade, nelle piazze. La politica pontificia si concretizza in città e per la città nell’assicurare il pane a buon mercato e la gran copia di acqua, ma anche nell’offrire un’ampia possibilità di occupazioni, dalle più prestigiose a quelle più minute, nelle corti cardinalizie, negli interminabili cantieri che modificano, fino alla seconda metà del secolo, il volto urbanistico di Roma. Una città che protesta per lo più in forme ritualizzate, come durante la Sede vacante, nelle manifestazioni del carnevale, nelle pasquinate; che celebra con solennità gli anni santi connotati, fino al 1650, di messaggi politici diretti all’Europa cattolica e non; una città che forgia proprio nel XVII secolo la sua identità segnata dal compromesso, dalla messa in scena, dalla elaborazione anche pionieristica della propaganda, mezzi che riuscivano a coprire le contraddizioni, le debolezze del governo pontificio così come la fragilità sociale, la miseria, la irrequieta violenza quotidiana. Troviamo però in questo libro anche immagini che richiamano troppo da vicino quelle diffuse da una lunga tradizione negativa presenti, ad esempio, nella letteratura apodemica. All’interno di questa intensa panoramica sull’età barocca trovano uno spazio limitato aspetti per altro fondamentali, come il rapporto fra scienza e censura, il ruolo dell’Inquisizione che qui considera solamente i troppo noti esempi di Bruno, Galilei e Sarpi. Anche lo spostamento della corte nel palazzo del Quirinale e il conseguente mutamento dell’uso dello spazio urbano intorno all’area della nuova imponente residenza pontificia non sono collegati, in questa esposizione, all’analisi di altre manifestazioni artistiche seicentesche. Sebbene l’attenzione sia incentrata soprattutto sul periodo segnato dal nepotismo, osservazioni significative sottolineano come l’inizio del pontificato di Innocenzo XI rappresenti la fine del XVII secolo, quale era stato presentato nei capitoli precedenti. Con Benedetto Odescalchi si realizza la seconda riforma, ispirata ai principî tridentini: assisten- za ai poveri, moderazione e sobrietà anche nell’uso di strumenti comunicativi, nella propaganda, nella committenza. Queste linee del governo innocenziano rappresentavano un significativo messaggio lanciato all’Europa, soprattutto alle potenze riformate: il papato sembra assumere una nuova luce grazie alla lotta contro gli ottomani fermati a Vienna e nell’opposizione a Luigi XIV. In questa opera di sintesi che intreccia la storia politica e sociale del papato e di Roma con la dimensione artistica, la bibliografia ragionata (pp. 255-261) evidenzia significative assenze soprattutto di recenti contributi italiani: dalla Storia dei papi, agli studi sul cerimoniale, dalle ricerche sulla politica pontificia nei confronti della comunità ebraica a quelle sull’Inquisizione e su ordini religiosi, solo per citarne alcune. Ma un’opera di sintesi come questa è riuscita comunque a disegnare un quadro assai mosso della Roma barocca entro il quale sarà poi possibile collocare nuovi protagonisti ai quali formulare nuove domande.