Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

39, 2013/1

Seven Jüngerkes

Diplomaten der Wirtschaft

Review by: Giovanni Bernardini

Authors: Seven Jüngerkes
Title: Diplomaten der Wirtschaft. Die Geschichte des Ost-Ausschusses der Deutschen Wirtschaft
Place: Osnabrück
Publisher: Fibre Verlag
Year: 2012
ISBN: 9783-938400-81-4

Reviewer Giovanni Bernardini - FBK-ISIG e European University Institute

Citation
G. Bernardini, review of Seven Jüngerkes, Diplomaten der Wirtschaft. Die Geschichte des Ost-Ausschusses der Deutschen Wirtschaft, Osnabrück, Fibre, 2012, in: ARO, 39, 2013, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2013/1/diplomaten-der-wirtschaft-die-geschicht-giovanni-bernardini/

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È sorprendente come la storiografia della Ostpolitik tedesca abbia riservato un posto di secondo piano alla sua dimensione economica della Ostpolitik tedesca. Dopo l’opera pionieristica di Angela Stent, risalente agli anni Ottanta, soltanto pochi saggi hanno affrontato la questione con il rigore necessario, e perlopiù con esiti insoddisfacenti che poco hanno aggiunto alla comprensione di un fenomeno talmente rilevante. Soprattutto, nessuna delle opere in materia sembra essere riuscita a mettere in discussione efficacemente la tesi secondo cui i rapporti economici della Repubblica Federale con i paesi «oltre cortina» furono a lungo qualitativamente poco incisivi perché quantitativamente modesti; e che l’«arma economica» ricoprì tutt’al più un ruolo ancillare rispetto ai disegni dei leader politici, pronti a servirsene ogni volta che lo ritennero necessario. A inaugurare una nuova prospettiva stimolante hanno provveduto alcuni volumi più recenti e la loro scelta programmatica di includere gli operatori economici all’interno dell’ampia categoria degli «attori non statali»: secondo questa felice intuizione, la peculiare condizione dell’autorità politica della Germania occidentale nel dopoguerra, stretta tra limitazioni di sovranità e imperativo politico della riunificazione, avrebbe lasciato un margine di iniziativa senza paragoni alla società civile, alle sue forme di autorganizzazione e alle urgenze che queste hanno progressivamente portato alla ribalta del dibattito nazionale. In tal senso, gli attori non statali non hanno necessariamente ricoperto un ruolo funzionale e subordinato rispetto alla politica, ma più spesso hanno influenzato l’agenda dei governi, persino affrontando situazioni di aperta competizione e conflitto con questi ultimi (si veda il volume curato da Anne-Marie Le Gloannec nel 2007).

Su questa linea, il principale merito del recente volume di Seven Jüngerkes risiede probabilmente nella restituzione agli attori economici, o almeno a una parte di essi, di caratteri e dinamiche peculiari che essi hanno assunto nella storia della Repubblica Federale, e quindi nel loro riscatto da un anonimato indistinto a cui spesso li ha relegati la narrazione tradizionale. Questo vale certamente per il Ost-Ausschuss der Deutschen Wirtschaft (Comitato per l’Est dell’economia tedesca), al contempo forum di concertazione, potente gruppo di pressione e consorzio di iniziativa economica, promosso e costituito nel 1952 da alcune delle principali aziende tedesche interessate ad attivare (o in molti casi a ripristinare) rapporti economici con i paesi dell’Europa orientale. Una storia che fatalmente si intreccia, più ancora che con la mera nascita della Repubblica Federale, con il suo lento e progressivo recupero di sovranità nelle relazioni con il mondo, e nel suo difficile e contrastato adeguamento alle realtà ideologiche e geopolitiche del dopoguerra. Queste ultime per un verso rendevano imprescindibile la ripresa del commercio con l’estero, data la contrazione del mercato interno in seguito alla decurtazione del territorio nazionale. D’altro canto, lealtà ideologiche ed esigenze geopolitiche costituivano un intralcio alla ricostruzione di rapporti economici con aree tradizionalmente interessate dalla cooperazione con la Germania e dalle quali quest’ultima avrebbe tratto enormi guadagni in termini materiali. La storia della ripresa delle relazioni economiche con l’Est fu quindi segnata da forti contrasti interni e da precari equilibrismi, volti a conciliare la lealtà politica alla «linea dura» dell’embargo economico contro il blocco comunista con le richieste di maggiore autonomia provenienti dagli attori privati riuniti in consorzio. Ed è dunque per mezzo di una ricca documentazione di fonti primarie che l’autore ricostruisce il percorso tutt’altro che rettilineo attraverso cui l’Ost-Ausschuss tentò di imporre la propria agenda a un riluttante Cancelliere Adenauer, in procinto di inaugurare i rapporti ufficiali con Mosca ma al contempo riluttante a discostarsi dall’embargo economico decretato dal blocco occidentale; fino al definitivo riconoscimento del Comitato come «unica rappresentanza di tutta l’economia nelle questioni del commercio con l’Est». Una definizione volutamente ambigua come era lo stesso status dell’organizzazione, al fine di lasciare a quest’ultima un margine di manovra più ampio rispetto agli obblighi posti dai vincoli politici internazionali; ma lontana dal costituire una delega definitiva da parte del governo, al fine di prevenire una totale autonomia del Comitato. Se tale dualismo produsse inizialmente un rallentamento nella ripresa dei rapporti economici, tuttavia esso si risolse in uno spirito di cooperazione fattiva già nella seconda metà degli anni Cinquanta, con risultati notevoli sia nei confronti dell’Unione Sovietica che di alcuni paesi satelliti come la Romania. Un’attenzione particolare merita il capitolo dedicato alla Repubblica Popolare Cinese, paese generalmente poco considerato nelle disamine dei rapporti tedeschi con l’universo socialista. Nonostante la scarsa copertura – persino l’aperto ostruzionismo – degli ambienti governativi alle iniziative dell’Ost-Ausschuss, per ragioni di fedeltà alla linea intransigente di Washington, il giro di affari assicurato dagli accordi-quadro firmati dal Comitato sin dalla seconda metà degli anni Cinquanta con Pechino dimostrano quanto sia fuorviante l’immagine di una Cina popolare ‘isolata’ dal resto del mondo fino agli anni Settanta, che soprattutto la storiografia statunitense ha frequentemente promosso.

Nella seconda parte, il volume passa a descrivere la cesura determinata dagli inizi della Ostpolitik della «Grande Coalizione» e soprattutto dei governi social-liberali, quando la normalizzazione dei rapporti con il blocco socialista offrì ulteriori spazi di espansione per le iniziative economiche. Tuttavia, a risaltare è soprattutto il mancato schieramento degli attori economici in favore del governo di Brandt, nel tentativo di mantenere le mani libere di fronte alle forti contrapposizioni politiche che accompagnarono la ratifica dei trattati con l’Est; ma anche della speranza, divenuta presto realtà, che i risultati di quegli anni divenissero col tempo un patrimonio condiviso da tutti i partiti in competizione per il governo.

Un volume dai meriti innegabili, dunque, che non dovrebbe sfuggire all’attenzione degli specialisti di molte discipline, in primis storici economici e delle relazioni internazionali interessati a trovare un terreno comune di indagine nell’area intermedia tra le organizzazioni dell’impresa privata e il potere politico. Meriti che oscurano ma non rimuovono due imperfezioni del libro di Jüngerkes, relative soprattutto l’ultima parte. Innanzitutto, ancora frammentaria e insoddisfacente risulta la ricostruzione della fase cruciale che accompagnò e seguì la fine dei regimi socialisti, passaggio obbligato per comprendere il potere economico esercitato dalla Germania in quella vasta area negli ultimi due decenni. Inoltre, l’ultimo capitolo dedicato alla «nuova generazione di diplomatici dell’economia» lascia trasparire un tono votato all’incondizionata celebrazione di un «successo storico», che periodicamente emerge in altre parti del testo, e che mal si concilia con una sobria analisi storica. Una tentazione retorica a cui parte della storiografia tedesca non ha saputo o voluto sottrarsi in passato, e dalla quale è ormai tempo di prendere congedo.

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