Reviewer Stefan Bauer
CitationDal 1998, anno di apertura dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede in Vaticano, dove sono conservati gli archivi delle Congregazioni dell’Inquisizione e dell’Indice dei libri proibiti, è stato pubblicato un numero sempre crescente di documenti riguardanti la storia della censura (ricordiamo, come unico esempio tra i molti possibili, il poderoso volume di Ugo Baldini e Leen Spruit Catholic Church and Modern Science. Documents from the Archives of the Roman Congregations of the Holy Office and the Index, I: SixteenthCentury Documents, Roma 2009). Bernward Schmidt con il suo volume presenta invece il primo studio sulla circolazione e la censura delle riviste scientifiche a Roma tra Sei e Settecento. Tali riviste erano un organo di comunicazione della cosiddetta «République des lettres», cioè della comunità internazionale degli eruditi europei. Mentre fino alla metà del Seicento il dibattito e lo scambio di informazioni avveniva, oltre che attraverso le opere dei singoli autori e studiosi, tramite lettere private (poi destinate ad un’ulteriore circolazione all’interno della «République»), dopo tale data il luogo di confronto si spostò sulle riviste, che divennero la sede in cui recensire quanto edito, divulgare le nuove scoperte scientifiche e discutere di arte e letteratura. Stupisce, ad esempio, come già nel primo fascicolo del «Journal des sçavans» del 1665 (ora disponibile online sul sito della Bibliothèque nationale di Parigi) le recensioni presenti assomiglino per stile, contenuto e criteri di valutazione a quelle proposte nelle riviste di oggi. Più in generale, tali riviste si basavano sulla convinzione, condivisa nella «République des lettres», che i vari rami del sapere fossero uniti tra loro e che le scienze fossero da considerare come un insieme organico. Gli «Acta eruditorum» di Lipsia, in particolare, coprivano una vasta gamma di discipline: teologia, storia ecclesiastica, giurisprudenza, medicina, fisica, matematica, storia, geografia, filosofia e filologia (p. 114). Ben presto le riviste scientifiche divennero strumenti indispensabili per un mondo erudito che voleva tenersi aggiornato, e questo valse anche per gli eruditi ecclesiastici. Schmidt sottolinea giustamente che le riviste aggiungevano all’informazione un elemento dinamico: già in precedenza esistevano delle «Bibliothecae selectae», cioè dei repertori bibliografici incentrati su specifici ambiti del sapere; ma le riviste, pubblicate a cadenza settimanale o mensile, permettevano un rapido aggiornamento sulle pubblicazioni più recenti. Alla base del tema affrontato da Schmidt giace l’osservazione che queste riviste, nonostante avessero tendenze gallicane (il «Journal des sçavans» di Parigi) o protestanti (gli «Acta eruditorum»), furono lette dai dotti legati a Roma, che nella maggior parte dei casi erano ecclesiastici. È prova di ciò il fatto che alcuni cardinali si rivolgessero direttamente ad Otto Mencke, il direttore degli «Acta eruditorum» a Lipsia, per ottenere la rivista e che tale periodico, a partire dal 1682, fosse disponibile in diverse biblioteche romane.
Il secondo dato interessante è che queste riviste furono più volte censurate e proibite dalla Congregazione dell’Indice. Schmidt ha rintracciato documenti di archivio che contengono 79 interventi di censura, condotti tra gli anni 1689 e 1764, riguardanti varie riviste ma, in massima parte, rivolti agli «Acta eruditorum». L’analisi di questa base documentale ha permesso a Schmidt di individuare al suo interno alcune costanti sia nei criteri di valutazione della Congregazione dell’Indice, sia negli ambiti tematici maggiormente presi in considerazione (una lista sintetica ne è fornita a p. 296): si prestò attenzione al rispetto del canone della Bibbia, a come fossero presentati il culto dei santi e delle loro immagini, la posizione dell’episcopato nella Chiesa, il primato papale, la situazione religiosa in Inghilterra, i sacramenti, il giansenismo, le eresie antiche e medievali e alcuni avvenimenti cruciali nella storia della Chiesa (come i concili, la lotta per le investiture, la Riforma), così come si tenne conto dell’eventuale apprezzamento di posizioni espresse da autori protestanti e, all’estremo opposto, di eventuali critiche rivolte ad autori cattolici e all’operato dell’Inquisizione e dell’Indice. L’autore fornisce una lista sommaria di tutte le censure nell’appendice (pp. 396-405).
Nella stessa appendice l’autore pubblica anche alcuni documenti: si tratta di lettere, di giudizi interni alla Congregazione dell’Indice, di estratti dai cataloghi di alcune biblioteche romane e, soprattutto, di una selezione – ritenuta rappresentativa – di due delle già ricordate 79 censure effettuate dalla Congregazione dell’Indice (pp. 373-391). Nella redazione di questi documenti sarebbe stata auspicabile una maggiore attenzione. Ad esempio: nell’edizione proposta da Schmidt (pp. 383-385) della censura di Antonio Baldigiani alla rivista di Pierre Bayle, «Nouvelles de la République des lettres» (1684), sono presenti errori di trascrizione e, inoltre, non si fornisce alcun rimando alle precedenti edizioni dello stesso documento, già pubblicato da un’altra studiosa (cfr. M. Fattori, Le commerce épistolaire, institution de la République des Lettres, in M. Fumaroli [ed], Les premiers siècles de la République européenne des Lettres, Paris 2005, pp. 89-110, e, della stessa autrice, Le censure di Antonio Baldigiani alla rivista «Nouvelles de la République des Lettres» di Pierre Bayle, in «Nouvelles de la République des Lettres», 2006, 2, pp. 105-121).
Questi ultimi commenti non intendono affatto sminuire il grande valore del libro che, nel suo insieme, è redatto con cura e scritto con stile piacevole. Sono, inoltre, da lodare il coraggio, la diligenza e la visione ampia con cui l’autore in questo suo lavoro ha affrontato un tema tanto fondamentale quale la storia dei rapporti tra scienze, teologia e politica a Roma – e più in specifico all’interno della curia – nella prima età moderna. Ci si augura che non solo gli studiosi interessati alla storia intellettuale di Roma tra Sei e Settecento, ma anche quelli della Roma del Quattro e Cinquecento leggano questo libro: ciò sicuramente potrà essere utile per comprendere come le profonde trasformazioni avvenute tra Rinascimento e Controriforma abbiano continuato ad esercitare la loro influenza anche nei secoli successivi. Vogliamo infine segnalare che una sintesi in lingua inglese di alcuni risultati dello studio di Schmidt è offerta dal suo saggio «In Erudition There Is No Heresy». The Humanities in Baroque Rome, in R. Bod et al. [edd], The Making of the Humanities, Amsterdam 2010, I, pp. 177-195 (scaricabile con accesso libero da http://dare.uva.nl/document/210417).