Reviewer Gabriele D’Ottavio
CitationCome avviene negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia (ma purtroppo non Italia), anche nella Repubblica Federale Tedesca il Ministero degli Esteri affida, regolarmente dal 1993, a studiosi e ricercatori affermati, che collaborano con l’autorevole Insitut für Zeitgeschichte di Monaco, il compito di selezionare e pubblicare i documenti diplomatici del passato. In adempienza alla cosiddetta «regola dei trent’anni», che di norma disciplina l’accesso alle fonti archivistiche, le raccolte degli Akten zur Auswärtigen Politik der Bundesrepublik Deutschland (AAPD) oggi disponibili coprono l’intero arco cronologico che va dal 1963 al 1981. Per quanto riguarda i primi tredici anni di vita della Repubblica Federale (1949-1962) rimangono invece ancora alcune lacune da colmare per il periodo successivo al 1953. Tuttavia, nel 2010 è stato possibile aggiungere un altro tassello. Ci riferiamo in particolare ai tre imponenti volumi (502 documenti pubblicati in ordine cronologico, corredati da un ricco apparato di note, per un totale di 2255 pagine) dedicati al 1962. Si tratta per lo più di documenti provenienti dall’Archivio politico del Ministero degli Esteri tedesco, alcuni dei quali – soprattutto quelli contrassegnati da un elevato livello di segretezza (streng geheim) – sono stati desecretati solo in tempi recenti. Arricchiti con materiale proveniente dall’Archiv der Stiftung Bundeskanzler-Adenauer-Haus di Rhöndorf, i tre volumi in esame consentono di gettare nuova luce sulle relazioni bilaterali della Repubblica Federale con i principali partner strategici occidentali, con l’Unione Sovietica, ma anche con la Chiesa cattolica, la Spagna franchista e altri sedi diplomatiche più periferiche. Ma cosa più importante, questa raccolta documentaria consente di cogliere in pieno la grande portata trasformatrice del 1962 per la storia delle relazioni internazionali e, come si cercherà di illustrare, anche per la storia della politica estera tedesca. Sullo sfondo di avvenimenti avvertiti dai contemporanei come epocali, come le crisi di Berlino e di Cuba, la Repubblica Federale si scoprì d’un tratto protagonista delle relazioni internazionali: non più solo come «problema», come oggetto delle decisioni altrui, ma anche come soggetto attivo. Il fatto che tale passaggio verso una condizione di maggiore consapevolezza da parte dei tedeschi-occidentali del proprio ruolo sulla scena internazionale sia stato in larga parte favorito direttamente dal nemico storico della Germania, la Francia e, solo indirettamente, da parte del loro partner strategico più importante, gli Stati Uniti, appare uno di quei suggelli che la storia ha, talvolta, la perfidia di apporre.
Per sviluppare questa tesi e al contempo illustrare l’importante valore euristico di questi tre volumi mi soffermerò principalmente sui documenti che consentono di chiarire il tema, ancora oggi dibattuto tra gli storici, della cosiddetta «sfida gollista» e della sua ricezione da parte di Bonn; un tema che attraversa come un filo rosso tutta la trama del 1962. All’indomani dello strappo gollista sul Piano Fouchet, che prefigurava la realizzazione di un’unione politica tra i sei Stati membri della CEE, de Gaulle lasciò intendere nel corso dell’incontro francotedesco di Baden Baden di febbraio di essere pronto a realizzare bilateralmente quanto non sembrava possibile realizzare a sei: un’Europa più franco-centrica, meno sovranazionale e più indipendente dagli Stati Uniti (doc. 74). Tuttavia, in una prima fase, che durò almeno fino all’estate, il cancelliere tedesco si dimostrò determinato a esplorare tutte le soluzioni alternative a un’Europa a due. In particolare, nel giugno Adenauer si dichiarò favorevole alla proposta di costruire insieme a Francia e Italia un’unione politica a tre (doc. 242), mentre nel luglio, all’indomani dell’appello di Fanfani per una ripresa dei negoziati sull’unione politica, il cancelliere cercò di convincere de Gaulle a considerare l’iniziativa italiana come l’ultima spiaggia per un’intesa a sei (doc. 273). Al tempo stesso, però, il generale riuscì a estorcere ad Adenauer la concessione che, in caso di fallimento del tentativo di mediazione italiana, Bonn sarebbe stata disponibile a realizzare insieme a Parigi un nucleo di potenze decisionali attorno al quale far avanzare una nuova politica di integrazione europea (ibidem). Come è noto, la prospettiva di un’intesa a due si concretizzò nel settembre, nel corso del trionfale viaggio di de Gaulle in Germania (doc. 346). Ciò che è meno noto è che in quell’occasione Adenauer propose a de Gaulle di strutturare l’accordo non sotto forma di trattato, ma di un gentleman’agreement (ibidem), probabilmente anche in questo caso al fine di evitare che la partnership franco-tedesca potesse essere interpretata dagli altri partner strategici come espressione di una politica esclusiva o alternativa alla politica d’integrazione europea a sei. De Gaulle tuttavia insistette affinché alla cooperazione franco-tedesca, soprattutto nel settore della difesa, venisse dato un carattere statutario (ibidem). A posteriori, il fatto che la decisione di elevare lo status dell’accordo, trasformandolo da protocollo in trattato con l’obbligo di ratifica, avrebbe consentito ai deputati tedeschi – con il famoso preambolo – di svuotare il trattato del significato che il generale gli avrebbe invece voluto conferire, costituisce l’ennesima conferma dell’imprevedibilità del processo storico. D’altra parte, i documenti in esame consentono non solo di ricostruire la politica ufficiale del governo tedesco, ma anche di addentrarsi nel dibattito interno che caratterizzò il processo decisionale. A tale proposito, dai documenti traspare con evidenza il montare di un dissenso crescente tra il cancelliere Adenauer e il ministro degli Esteri Schröder, in particolare sulla questione britannica. Nei suoi termini essenziali la divergenza consisté nel fatto che mentre Adenauer giunse alla conclusione che la richiesta dei britannici di essere associati ai lavori per un’unione politica costituisse un ostacolo all’unificazione europea (doc. 271), Schröder, escludendo a priori l’ipotesi di un’unione ristretta, considerò l’accordo preventivo con gli inglesi indispensabile per convincere i Paesi più piccoli a creare l’Europa politica (doc. 272). Sullo sfondo di questo contrasto si scorgeva, in realtà, già all’epoca una diversità di vedute ben più profonda, destinata a confluire negli anni successivi nella cosiddetta e ben più ampia controversia tra «atlantici» e «gollisti».
La nuova politica americana condotta dall’amministrazione Kennedy ebbe un peso sicuramente decisivo nel determinare il progressivo allineamento di Adenauer sulle posizioni del generale de Gaulle. Gli importanti cambiamenti osservati oltreoceano provocarono a Bonn uno stato di allarme permanente e contribuirono ad alimentare la convinzione del cancelliere dell’impossibilità di poter fare pieno affidamento sugli Stati Uniti. Con particolare inquietudine furono vissuti i seguenti sviluppi: l’adozione della dottrina della risposta flessibile, che prevedeva cioè una risposta adeguata e proporzionata all’aggressione subita dell’avversario e non garantiva dunque più l’automaticità dell’impiego del deterrente nucleare (doc. 110); le pressioni del nuovo segretario di Stato alla Difesa McNamara sugli europei, affinché investissero maggiormente nel riarmo convenzionale e condividessero così gli oneri della difesa con gli Stati Uniti (doc. 163); i vari tentativi di accentrare quanto più possibile il controllo dell’impiego delle armi atomiche (doc. 347); un’inedita ricettività nei confronti delle esigenze manifestate dai sovietici sulla questione di Berlino e più in generale sui rapporti tra le due Germanie (docc. 109 e 157); infine, una sempre più evidente indisponibilità a rischiare un’escalation nucleare (doc. 446), come soprattutto gli sviluppi della crisi dei missili di Cuba avrebbero, a giudizio del cancelliere, dimostrato. A tale riguardo, si apprende che dopo la scoperta delle installazioni missilistiche sovietiche il cancelliere suggerì agli americani di procedere al «bombardamento delle basi» e all’«invasione dell’isola» (doc. 419). Di altro avviso si dimostrò tuttavia il presidente americano Kennedy, il quale nel corso di un colloquio riservato con il cancelliere, il 14 novembre, replicò che già il solo impiego delle armi tattiche avrebbe potuto comportare «la fine dell’Europa, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica» (doc. 446).
Le pressioni golliste, da un lato, e la crescente convinzione che gli Stati Uniti stavano sottovalutando la gravità della minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica come mai era accaduto nel decennio precedente, dall’altro lato, spinsero il governo tedesco a prendere delle decisioni tutt’altro che scontate. Oltre all’accordo bilaterale con la Francia gollista poi sfociato nella firma del controverso Trattato dell’Eliseo nel gennaio 1963, per un momento Adenauer sembrò addirittura prendere in considerazione l’ipotesi di un accordo diretto con i sovietici, come quando ai primi di giugno comunicò all’ambasciatore sovietico Smirnov il suo desiderio di stipulare un «armistizio decennale» e la sua speranza di poter instaurare con l’Unione Sovietica «delle relazioni realmente normali» (doc. 232). Anche sulla base di queste evidenze, il mito del cancelliere abbagliato dal carisma del generale va respinto. Certamente di de Gaulle Adenauer aveva una grande considerazione, al punto da lasciarsi andare a commenti del tipo «tutto ciò che è oggi la Francia lo deve alla personalità di de Gaulle», invidiando peraltro al generale una posizione di forza, politica e istituzionale all’interno del suo Paese a cui il cancelliere non avrebbe mai potuto aspirare nella sua Repubblica Federale (doc. 73). La disponibilità di Adenauer a puntare sulla partnership privilegiata con la Francia non fu tuttavia mai incondizionata o avulsa dalla considerazione di quelli che egli riteneva fossero gli interessi prioritari del suo Paese, inclusa la condizione di dipendenza strategica della Repubblica Federale Tedesca dagli Stati Uniti (doc. 215). Così mentre de Gaulle giocava con l’idea di un’Europa «terza forza», Adenauer valutò l’intesa con la Francia a partire dall’autunno 1962, ancor più che in passato, una garanzia irrinunciabile affinché non vi fossero ulteriori cedimenti sulla questione tedesca e, nel tempo più lungo, un’assicurazione per scongiurare la disgregazione del blocco occidentale (doc. 276), sperando, e in parte illudendosi, di poter far leva sull’accordo franco-tedesco per convincere gli americani a rinsaldare il legame transatlantico.
Nel 1962 i principali responsabili della politica estera tedesca si trovarono dunque confrontati con una serie di decisioni destinate a pesare nel tempo. Fu d’altra parte anche grazie a questi sviluppi se i tedeschi-occidentali da oggetto delle decisioni altrui si trasformarono nuovamente in soggetti attivi della politica internazionale. In questa prospettiva la comprensione della portata storica del 1962, che questi tre corposi volumi di certo agevolano, sembra offrirci anche alcune importanti coordinate storiche per capire come la Germania di oggi, nel frattempo riunificata, sia potuta tornare a svolgere in Europa e nel mondo un ruolo chiave.