Reviewer Carlo Taviani
CitationGli studiosi dell’età barocca sono abituati a considerare la Wunderkammer come la spia di un nuovo gusto culturale, una passione che incarna la meraviglia e la curiosità per gli oggetti e i resti del mondo naturale, spesso giunti in Europa in seguito alle esplorazioni geografiche del vecchio e del nuovo mondo. Già la cultura del Rinascimento, però, nel Cinquecento, attraverso un processo di inclusione progressiva, venne in contatto con le novità delle esplorazioni geografiche e le rese disponibili e comprensibili. Se la cultura barocca celebrò tali novità, quella rinascimentale le scoprì. La conoscenza non procedette attraverso la critica della cultura classica, ma mediante la sua rielaborazione.
Questa è una delle argomentazioni più forti del libro di Christine Johnson, un testo che presenta un’ampia panoramica sulle opere rinascimentali di area tedesca che hanno documentato e descritto la scoperta e l’esplorazione del mondo, tanto dei territori americani, quanto del continente africano e asiatico. L’arco cronologico scelto va dalla scoperta dell’America al 1580, un modo per tenere insieme la produzione scientifica tedesca, prima dell’influenza dei processi di confessionalizzazione religiosa.
L’autrice ha condotto una ricerca in tre campi fondamentali della cultura rinascimentale: la cosmografia, la botanica e il sapere dei mercanti. Si tratta di discipline e di tecniche che più di altre contribuirono alla raccolta sperimentale e all’analisi dei dati. Proprio come tali, cioè come saperi pratici e sistematici, interessano all’autrice.
Il primo capitolo, «There and Back Again», introduce alcuni racconti di viaggio tedeschi, o tradotti in tedesco. Nel secondo capitolo, «Plotting the Discoveries», vengono analizzati i lavori dei cosmografi che spesso la storiografia ha stigmatizzato come influenzati dalla concezione tolemaica, considerata inadatta a descrivere le nuove conoscenze. La tesi qui sostenuta è che, invece, adattando i confini della propria disciplina e modificando la terminologia, i cosmografi non rinunciarono alle basi della propria formazione. L’autrice ci spiega inoltre come paradossalmente fu proprio il nuovo mondo quello più facile da descrivere, perché fu studiato mediante aggiunte progressive alla cartografia conosciuta e non al costo di correzioni radicali del sapere.
Tre capitoli sono dedicati alle questioni commerciali. Nel terzo, «Accounting for the Discoveries», vengono descritti i processi di comprensione del nuovo mondo che passarono attraverso i numeri dei libri di conto dei mercanti. Notando come la storiografia ci ha abituato alle vaghe descrizioni delle incommensurabili ricchezze del nuovo mondo, l’autrice si sofferma sui resoconti dei mercanti, precisi nel misurare le distanze, nel calcolare gli investimenti e le spese. L’obiettività appare uno dei tratti distintivi degli osservatori impegnati nell’attività commerciale: per esempio nel momento in cui essi riuscirono a valutare il peso reale e inizialmente solo parziale della perdita di egemonia commerciale veneziana.
Il quarto capitolo, «Too Rich for German Blood?», analizza il commercio delle spezie e l’elaborazione dei discorsi sul lusso. La trattazione è particolarmente interessante, perché vengono presentate sia questioni commerciali, sia tematiche relative alla sistematizzazione del sapere botanico. Tra il 1512 e il 1521 i commerci delle spezie in area tedesca vennero coinvolti nel Monopolstreit, la battaglia contro i monopoli, affrontata a più riprese nelle Diete imperiali. In decenni molto vicini gli erbari mostrano come la botanica includesse progressivamente le piante del nuovo mondo e come contribuisse all’elaborazione dei discorsi sul lusso. Per esempio nel Teütsche Speiszkammer Hieronymus Bock sosteneva l’inutilità delle spezie tropicali e difendeva la ricchezza del suolo tedesco, che poteva provvedere i suoi abitanti di tutte le necessità. In questo capitolo viene ripreso lo stesso modello interpretativo usato per analizzare la cosmografia nel secondo capitolo: la cultura umanistica non impedì la conoscenza delle novità botaniche, ma le rese progressivamente disponibili. Se vi furono ritardi nell’acquisizione della conoscenza, essi devono essere ascritti alle difficoltà pratiche nel reperire informazioni estremamente difficili (p. 147).
L’ultimo capitolo, «The Sorrows of Young Welser», affronta le risposte dei mercanti tedeschi al Monopolstreit, e mostra il ritiro progressivo delle società commerciali tedesche dal campo di azione del nuovo mondo. Le grandi case dei Welser, dei Fugger, degli Hirschvogel, giunte alla ribalta per via dei grandi capitali accumulati, incontrarono le maggiori difficoltà non nelle Americhe, ma in Europa. Furono le corti del vecchio mondo i luoghi nei quali le società tedesche subirono le sconfitte legali che spesso le condussero al fallimento. Sono presi in esame i fallimenti dei Welser e di Konrad Rott. Il primo caso è di particolare interesse, perché costituì l’unico fenomeno di colonizzazione tedesca cinquecentesca e il primo esempio di dominio territoriale di una compagnia nel nuovo mondo: nel 1528 alla società dei Welser vennero concessi privilegi per il dominio del Venezuela. L’esperienza fallì nel 1545, quando Bartolomeo Welser venne impiccato da un gruppo di coloni insorti; la colonia terminò formalmente nel 1556.
Il libro, molto ben scritto, affronta un tema affascinante; la partizione dei capitoli è impostata in maniera equilibrata e mostra percorsi di indagine inediti, come l’analisi della botanica e dei libri di conto dei mercanti. La tesi di fondo – la rivalutazione del ruolo avuto dalla cultura rinascimentale nei processi di elaborazione delle novità giunte in Europa con le scoperte – è ben argomentata.
Se una critica può essere mossa all’autrice, è quella di aver scelto un oggetto di studio, la cultura tedesca, che non appare sempre omogeneo (ciò è evidente in particolare nel primo capitolo). Quando viene analizzata la storia delle società commerciali, o dei singoli mercanti, ci appare chiaro con chi abbiamo a che fare: le istituzioni e i mercanti tedeschi costituiscono un tema di ricerca concreto. Quando però l’autrice presenta la circolazione delle opere in lingua tedesca, gli argomenti degli autori, le differenze tra l’originale di un testo e la sua traduzione tedesca – ossia, per dirla con termini generali, quando descrive gli scambi del sapere – ci sembra che i contorni del tema trattato si facciano più nebulosi, perché solo a fatica i processi culturali possono essere caratterizzati con l’etichetta di «German». A riguardo, viene in mente il libro di Susanne Zantrop, Colonial Fantasies: Conquest, Family and Nation in Precolonial Germany 1770-1870 (Durham - London, Duke University Press, 1997), nel quale si tratta tra l’altro dell’ossessione ottocentesca tedesca per la breve esperienza coloniale cinquecentesca: in quel caso, sì, la cultura tedesca può essere considerata come un unico oggetto di studio, ma tre secoli prima?