Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

36-37, 2010-2011/1

Kaspar von Greyerz

Passagen und Stationen

Review by: Katia Occhi

Authors: Kaspar von Greyerz
Title: Passagen und Stationen. Lebensstufen zwischen Mittelalter und Moderne
Place: Göttingen
Publisher: Vandenhoeck & Ruprecht
Year: 2010
ISBN: 9783-525-35893-1

Reviewer Katia Occhi - FBK-ISIG

Citation
K. Occhi, review of Kaspar von Greyerz, Passagen und Stationen. Lebensstufen zwischen Mittelalter und Moderne, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2010, in: ARO, 36-37, 2010-2011, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2010-2011/1/passagen-und-stationen-lebensstufen-zwi-katia-occhi/

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Il libro di Kaspar von Greyerz è frutto di un lungo lavoro di studio sui documenti di autonarrazione (Selbstzeugnisse) compresi nell’arco di tempo che va dal XV al XIX secolo. Si tratta di autobiografie, diari, cronache o cronache familiari, su cui l’autore ha iniziato a lavorare presso il German Historical Institute di Londra proseguendo poi a Kiel, Zurigo e Basilea. La ricerca si concentra sui modi in cui le cosiddette «stazioni» della vita – la nascita e il battesimo, l’infanzia, la giovinezza e i suoi rituali, l’apprendistato e gli studi, il fidanzamento e le nozze, il matrimonio con il governo della casa e della famiglia, la vecchiaia e infine la morte – erano percepite dagli uomini e dalle donne dell’epoca. L’analisi mira a mettere in evidenza quali esperienze fondamentali contrassegnassero queste fasi, quali eventi fossero considerati caratterizzanti di uno stadio e come i contemporanei si preparassero ad accedere a un altro periodo della propria esistenza. La cornice teorica da cui muove questa indagine si riallaccia al concetto dei «riti di passaggio» elaborato dall’etnologo belga Arnold van Gennep nel suo libro Les rites de passage uscito a Parigi nel 1909, che li classificava in tre forme: riti di separazione, riti di transizione, riti di aggregazione. Gli studi vennero poi approfonditi dall’antropologo culturale Victor Turner, che in Betwixt and Between. The Liminal Period in Rites de Passage, del 1964, descrisse i momenti di transizione tra due fasi come periodi liminali, di ambiguità, di esclusione e di isolamento.

Queste scansioni della vita umana sono analizzate da Greyerz attraverso una selezione di quarantaquattro Selbstzeugnisse di area germanofona. Essi sono stati scelti tra una messe innumerevole di documenti noti, parte dei quali sono raccolti in una banca dati consultabile online all’indirizzo http://selbstzeugnisse.histsem. unibas.ch. Alla base di quest’opera vi sono otto scritti di donne, di cui sette composti in un contesto nobiliare urbano. Il numero delle scritture femminili è così esiguo perché si tratta di documentazione piuttosto rara per il XVI e il XVII secolo. Trentadue di queste testimonianze (comprese quelle di mano femminile) provengono dall’ambiente cittadino, le rimanenti da quello rurale. In quest’ultimo caso predominano gli scritti nobiliari. La periodizzazione delle fonti prende come punto di avvio l’epoca successiva alla Riforma, all’incirca dal 1520. I documenti comprendono un testo di un autore ebreo e di cinque esponenti del mondo cattolico, mentre tutti gli altri appartengono al milieu protestante. Da un punto di vista professionale dominano gli scritti di ecclesiastici (otto su trentotto), vi sono poi manoscritti di artigiani sia cittadini sia rurali, due scritti di contadini del XVII secolo e uno di un piccolo coltivatore del XVIII secolo, che opera però in un contesto di sviluppo preindustriale del tessile nella Svizzera orientale e fa contemporaneamente il piccolo commerciante di filati, fatto del tutto usuale per le società di antico regime. Infine, vi è il caso di un maestro di Davos vissuto a cavallo tra XVI e XVII secolo, che in estate esercitava come pittore itinerante nei Grigioni.

L’autore, conscio del fatto che questo tipo di materiale esclude i ceti inferiori, ricorre a documenti cinquecenteschi di Basilea che raccolgono Urfehden (juramenta de non vindicando) per ampliare la sua prospettiva di ricerca, perché i Selbstzeugnisse restituiscono inevitabilmente presentazioni, rappresentazioni ed esperienze dei ceti medio-alti, come scrive a p. 45. Il lavoro è stato integrato inoltre con fonti complementari costituite da testi normativi, leggi e mandati delle autorità e infine trattati sull’educazione.

Dall’esame delle fonti e da un’ampia letteratura bibliografica sulla demografia, la storia sociale e la storia culturale l’autore conclude che condizioni di liminalità e riti di passaggio erano parte integrante dell’esistenza in antico regime. Si prenda ad esempio l’esperienza degli apprendisti di una corporazione e degli studenti che nella loro fase di addestramento dovevano abbandonare il luogo di origine per formarsi altrove. Un ordinamento del 1785 stabiliva la durata di questi viaggi: mentre i sarti, i calzolai e i produttori di pan pepato (Lebküchner) potevano assentarsi per otto anni, per i macellai la durata di questo allontanamento poteva estendersi a dieci anni. Solo al ritorno in patria o dopo il conseguimento del titolo di studio avveniva l’integrazione definitiva nel mondo degli adulti. Questo significava che essi potevano essere ammessi a una corporazione come maestri o potevano accedervi tramite il matrimonio con una vedova di un maestro artigiano. Agli apprendisti era espressamente proibito sposarsi, anche se questo precetto non sopravvisse ovunque fino alla fine del XVIII secolo. Per gli studenti mancava una norma scritta, ma la consuetudine a non contrarre matrimonio aveva un peso altrettanto limitativo, che si protrasse fino al XIX secolo, se pur meno rigorosamente.

Rappresentazioni di queste tappe della vita e dei tornanti esistenziali si possono osservare anche nelle acqueforti pubblicate nel libro, da quella di Balthasar Jenichen del 1569 a quella di G.N. Renner e Schuster del 1835. Non è possibile soffermarsi su tutte le «stazioni» esaminate dall’autore, ma è interessante richiamare almeno un altro stadio analizzato nel libro, ossia quello della condizione liminale che contraddistingueva le partorienti. In epoca premoderna questa categoria di donne era sollevata dalla gestione della casa e poteva relazionarsi solo con altre donne (levatrici, donne del parentado e vicine) almeno fino al XVIII secolo e nell’area tedesca. Gli uomini, i medici o i cosiddetti acoucheurs e gli stessi mariti compaiono nella vita delle donne al momento della nascita dei figli solo nel XIX e XX secolo. Un altro fattore di esclusione riguardava la sessualità, che era bandita nel periodo del puerperio, la cui durata poteva protrarsi per molte settimane o mesi. La condizione di marginalità discendeva dalla stretta interconnessione che i contemporanei attribuivano alla nascita e alla morte, come si può leggere ad esempio nelle pagine del diario del tardo Settecento di Regula von Orelli Escher, esponente del circolo tardo-pietistico di Zurigo, riportate dall’autore a p. 52. Solo un rituale di purificazione denominato Kirchgang, in uso nel mondo riformato luterano, poteva consentire a una donna di accedere nuovamente alla chiesa ed essere reintegrata nella comunità dopo il parto, come si vede anche in un’incisione di Wenzel Hollar del XVII secolo, a p. 234.

L’autore rileva che i periodi di liminalità di carattere specificamente religioso andarono perduti con i cambiamenti sociali, spirituali e di mentalità avvenuti nella fase di passaggio dall’antico regime all’epoca moderna. Tuttavia egli fa notare che nelle società rurali e negli strati inferiori della popolazione urbana nell’ambito del matrimonio e della famiglia non si registra una cesura tra il tardo XVIII e l’inizio del XIX secolo. È opinione di Greyerz che un primo cambiamento nei riti si produca tra il tardo medioevo e la prima età moderna e un secondo si verifichi alla fine dell’antico regime. Non mancano però le eccezioni, come nel caso degli apprendisti e degli studenti, il cui status di liminalità si mantenne fino all’epoca moderna, attenuato peraltro da mandati e regolamenti già nel XVIII secolo.

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