Reviewer Fernanda Alfieri - FBK-ISIG
CitationL’uso normativo del concetto di «natura» ha una storia secolare, segnata da manipolazioni e fluttuazioni continue. La questione è inevitabilmente complessa ed elevato è il rischio di perdersi seguendo le metamorfosi del forse più volatile – ma decisivo nei suoi effetti – e strumentalizzato concetto della cultura occidentale (e non solo). Ma il volume, frutto di una feconda collaborazione fra istituzioni tedesche e svizzere (per menzionarne alcune, il Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte, il Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte, la Schweizerische Akademie der Geistes- und Sozialwissenschaften, l’Universität Bern) e con una rosa di contributori fra Europa e Stati Uniti, apre all’ambizioso – e riuscito – tentativo di riflessione ad ampio respiro interdisciplinare con una domanda che, oltre alla primaria funzione interrogativa e di innesco di riflessioni, ha anche un cruciale ruolo armonizzante. Come si spiega, chiedono infatti i curatori del volume introducendo il lettore ai sedici contributi raccolti, il crescente ricorso all’idea di «legge naturale» che diritto, scienze naturali, filosofia e teologia – con una simultaneità certamente sintomatica, ma prima del lavoro di Daston e Stolleis non ancora interrogata dalla storiografia – conobbero fra la metà del Cinquecento e la metà del Settecento? Esiste, insomma, una matrice concettuale comune agli ambiti menzionati che ha indotto – pur con le relative specificità disciplinari e le molte varianti terminologiche – a far incontrare l’ordine della «legge» e quello della «natura», fino a farli risultare analoghi, come se la fragilità del primo, soggetto alle variabilità della contingenza, necessitasse di corroborarsi, per divenire insindacabile, con la supposta immutabilità e certezza del secondo?
La specificità delle discipline, la varietà degli incroci, la ricchezza terminologica che si evolve nella dimensione diacronica di lungo periodo, elementi che l’importante questione dibattuta chiama in causa, vengono restituite dai singoli contributi, cui è utile accedere attraverso lo schema concettuale fornito dai curatori, che sotto le «rubriche» di «ordine», «gerarchia», «epistemologia», «cause» suggeriscono alcune chiavi di lettura attraverso le quali considerare una molteplicità di prospettive tanto varia da rischiare, data la necessaria inafferrabilità della categoria in esame, di essere altrimenti spiazzante. Si rileva, quindi, che un’esigenza di definire sistematicamente un ambito del certo, dell’universale, del fondamentale e del predeterminato, col ricorso alla categoria di natura – data per onnicomprensiva di tali qualità – si è fatta strada nella filosofia naturale quanto nel diritto, a fronte della percezione, nella prima, del rischio della valenza puramente descrittiva delle «leggi di natura» intese come prese d’atto, necessariamente accidentali, del fenomeno, e, nel secondo, della parzialità delle «leggi», legate alla contingenza della validità locale. Ma le forme attraverso le quali questa esigenza si esprime nelle singole discipline, chiamate a comprendere e fondare le leggi che governano la società e il mondo naturale, sono varie. Mentre la riflessione giuridica abbandona intorno alla metà del XVII secolo la visione del Deus Legislator, consolidatasi nella teologia post-tridentina e fa «collassare … nella legge positiva» (p. 10) la legge naturale, nella filosofia naturale l’indagine si evolve invece in termini di superamento dell’idea di esistenza di leggi naturali, date come divinamente preordinate, nella direzione di una ricerca empirica delle «leggi della natura» estesa a un ventaglio sempre crescente di fenomeni. Il problema epistemologico, che nel discorso teologico e giuridico, si impernia intorno al tentativo di spiegare la conoscenza umana della legge naturale (per rivelazione? per compartecipazione innata delle creature razionali alla legge eterna di Dio? per accesso mediante l’uso di una razionalità non data come dote istintiva, ma coltivata?), si incrocia con la questione della responsabilità morale e della perseguibilità degli atti: così, per esempio, l’antropologia scolastica fondava sull’intimo consenso delle creature razionali la loro adesione alla legge naturale, emanata direttamente da Dio, la cui violazione era vista come causata dall’aberrazione dalla ragione. Cosa ne è della responsabilità morale dopo il tramonto del Deus Legislator? Questa è solo una delle questioni poste dal volume, che si propone dichiaratamente come l’inizio di una importante riflessione, che intende restare aperta.