Reviewer Stefan Bauer
CitationI contributi degli storici tedeschi sulla Roma della prima età moderna si concentrano nella maggior parte dei casi sullo studio della storia sociale e tralasciano spesso la storia delle idee. Wassilowsky, da storico della Chiesa, va contro tali tendenze riduzionistiche esaminando nel suo testo la storia delle elezioni papali del XVI e XVII secolo. Considerando il problema sia sotto la prospettiva politico-sociale, sia sotto quella teologica egli dà infatti la giusta attenzione non solo al sistema romano clientelare, ma anche all’ideologia religiosa che sottende il meccanismo elettorale. A tale proposito appare altamente significativa l’affermazione che «solo oggi sta nascendo – se parliamo con un certo ottimismo – una intellectual history rinnovata da punto di vista metodologico, che studia le concezioni interpretative religiose, politiche, sociali nella Roma della prima età moderna» (pp. 165-166). La storia dei meccanismi delle elezioni papali era stata studiata fino ad oggi in maniera superficiale ed era basata su generalizzazioni. L’indagine di Wassilowsky ha potuto raggiungere quindi risultati sorprendenti, di cui evidenziamo in questa sede solo i principali (Wassilowsky stesso ne offre un riassunto in «Historische Zeitschrift», Beihefte, 52, 2010, pp. 139-182).
La prima parte del libro ripercorre la storia dei conclavi del XVI secolo, ricostruita a partire dalle descrizioni dei diari dei maestri di cerimonia e sulla base di altre relazioni, quali quelle dei conclavisti dei cardinali. Qui Wassilowsky comunica una fondamentale scoperta: la maggior parte dei papi cinquecenteschi sono stati eletti con una tecnica elettiva che non viene menzionata in nessun testo normativo. Si tratta della cosiddetta «elezione per adorazione». Questo tipo di elezione era stato ignorato dalla storiografia precedente, appunto perché la ricerca si era sempre basata sull’esame dei testi normativi anziché sull’analisi della prassi. L’elezione si svolgeva in questo modo: durante il conclave i capi delle fazioni radunavano i loro seguaci tra i cardinali e d’improvviso iniziavano ad inginocchiarsi e ad ‘adorare’ un candidato. Se a questo atto improvviso di omaggio si aggiungevano altri cardinali fino a raggiungere i due terzi degli aventi diritto al voto, il candidato da quel momento era automaticamente papa. L’adorazione stessa già costituiva l’atto di elezione. In seguito veniva effettuato lo scrutinio cartaceo, posticipato spesso al giorno seguente, che assumeva quindi il significato di una semplice conferma. I testi normativi, del resto, (da Licet de vitanda, 1179, in poi) prescrivevano come obbligatoria solo la costituzione di una maggioranza di due terzi, ma non indicavano secondo quale modalità tale maggioranza dovesse essere raggiunta. I cardinali del Cinquecento evidentemente ritenevano di minore importanza la linearità e la trasparenza del metodo elettivo, rispetto al conseguimento dell’obiettivo. L’elezione per adorazione poteva provocare scene tumultuose: poteva succedere che quando una fazione cominciava l’adorazione, l’altra cercasse di impedire l’aggiunta di altri cardinali utilizzando anche la forza fisica. L’efficacia di questa tecnica d’elezione è comunque dimostrata dal fatto che i risultati non venivano mai contestati. Wassilowsky sottolinea come l’elezione per adorazione corrispondesse perfettamente al sistema romano: l’atto di omaggio era una visibile promessa di fedeltà e rifletteva l’ordine sociale e i rapporti clientelari interni alla curia.
Nel corso del XVI secolo fallirono diversi tentativi di introdurre lo scrutinio segreto. Una riforma del conclave poté essere realizzata con successo solo durante il breve pontificato di Gregorio XV Ludovisi (1621-1623): le ragioni pratiche che portarono a tale cambiamento apparivano chiare già ad alcuni contemporanei, come l’ambasciatore toscano a Roma. I Ludovisi, consapevoli del fatto che Gregorio, un papa anziano, avrebbe governato solo per pochi mesi, temevano che questo breve lasso di tempo non sarebbe loro bastato per costituire una fazione di cardinali sufficiente a fare nominare al successivo conclave, tramite l’elezione per adorazione, un nuovo papa favorevole alla loro famiglia. Da un’elezione segreta i Ludovisi si aspettavano evidentemente un esito migliore. Come conseguenza della riforma, nel 1623 Urbano VIII Barberini fu eletto – primo papa della storia – attraverso lo scrutinio segreto. A determinare una riforma del conclave furono comunque non solo le sopraddette ragioni pratico-politiche, ma anche precisi valori teologici. Wassilowsky dimostra come un gruppo di cardinali influenti e desiderosi di riforme, gli «zelanti», dei quali facevano parte personaggi noti come Roberto Bellarmino e Federico Borromeo, si appellassero al principio della libertà di coscienza per sostenere la necessità di modificare il sistema elettivo. Il papa, secondo gli «zelanti», non doveva più essere scelto sulla base di interessi secolari e di relazioni clientelari bensì, con una decisione individuale guidata dallo Spirito Santo, solo pensando alle virtù del candidato e per il bene della Chiesa. In accordo con questa nuova corrente di pensiero fu cambiato anche il luogo dell’elezione, che passò, solo allora, dalla Cappella Paolina alla Cappella Sistina: è questa un’ulteriore novità che si desume dal libro di Wassilowsky. L’autore spiega il cambio di luogo con l’idea che l’elezione, intesa come una decisione della coscienza individuale, dovesse essere eseguita davanti al Giudizio universale di Michelangelo e quindi, per così dire, sotto gli occhi di Cristo. Naturalmente anche nei conclavi successivi continuarono la formazione e il gioco delle fazioni, ma queste operazioni dovettero risultare più lente e complesse, in quanto i capi dei rispettivi gruppi dovevano chiarire in modo più convincente agli elettori segreti (e quindi potenzialmente inaffida- bili) i vantaggi del candidato che dovevano appoggiare. Il recensore, in questa parte del testo, avrebbe apprezzato una contestualizzazione più approfondita del movimento degli «zelanti» e una più ampia trattazione della loro influenza sullo svolgimento dei fatti storici.
Un’analisi più puntuale avrebbe meritato anche il tema della «coscienza», concetto teologico che si era rivelato potenzialmente esplosivo già all’epoca delle elezioni tenutesi al Concilio di Trento. Le trascrizioni dai manoscritti presentano alcune imprecisioni, frutto, nella maggior parte dei casi, di semplici disattenzioni. I pregi del libro sono invece la buona leggibilità, la limitazione all’essenziale e il modo in cui Wassilowsky, attraverso efficaci riassunti, alleggerisce le fonti che si soffermano sui complessi particolari tecnici della pratica elettiva. Persino il preambolo teorico, potenzialmente ‘indigesto’ vista la settorialità degli argomenti trattati, risulta scorrevole. Wassilowsky ha portato all’attenzione degli studiosi di storia moderna un nuovo tema in una forma comprensibile e accattivante. È auspicabile una traduzione italiana del suo libro.