VII, 2024/1

Marco Albertoni

Storia delle colonne infami

Review by: Jacopo Bertol

Authors: Marco Albertoni
Title: Storia delle colonne infami. Giustizia e memoria in età moderna
Place: Napoli
Publisher: Bibliopolis
Year: 2023
ISBN: 9788870887082
URL: link to the title

Reviewer Jacopo Bertol - Università di Roma

Citation
J. Bertol, review of Marco Albertoni, Storia delle colonne infami. Giustizia e memoria in età moderna, Napoli, Bibliopolis, 2023, in: ARO, VII, 2024, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/1/storia-delle-colonne-infami-jacopo-bertol/

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Marco Albertoni ha individuato una lacuna sorprendente nel campo della storia della giustizia. La Storia della colonna infame, pubblicata da Alessandro Manzoni nel 1842, ha reso celebre il pilastro eretto a Milano nel 1630 contro due presunti untori di peste. Nonostante il successo letterario di questo episodio, ancora non è stato messo in luce dalla storiografia come questa colonna fosse solo un esempio di un fenomeno di lunga durata diffuso in tutta Europa. Per questa ragione, l’autore ha voluto delineare per la prima volta una cornice storica di questo metodo di condanna della memoria, rimasto a lungo nell’ombra. Il lavoro si avvale di un’ampia varietà di fonti, oltre ai dossier giudiziari: dalle raccolte epigrafiche alle corrispondenze diplomatiche, dalle incisioni alle mappe, dai fogli volanti alle gazzette. Per analizzare questa documentazione multiforme Albertoni ha scelto di utilizzare più chiavi di lettura attinte da diversi settori storiografici, adottando efficacemente stimoli provenienti dalle più recenti correnti di studi, come il material turn e lo spatial turn.
Le colonne infami erano cippi afflittivi adoperati durante l’età moderna allo scopo di disciplinare la memoria di determinati eventi ed imporre un marchio di infamia sugli sconfitti. La storia di questi monumenti è strettamente legata alla categoria del crimine di lesa maestà, per la quale la riflessione di Mario Sbriccoli è un riferimento imprescindibile[1]. Queste colonne erano destinate a punire l’ampia gamma di reati inclusi in questa categoria, che è stata assunta dall’autore come lente per comparare contesti giuridici differenti. A partire da questi presupposti, Albertoni costruisce un’analisi di stampo politico per ricercare le motivazioni che spinsero le autorità ad imporre questa pena in determinate condizioni di conflittualità. La decisione sulla strategia più efficace per condannare la memoria risultava il prodotto di valutazioni politiche. Questo ampio margine di arbitrio per i giudici era garantito dalla mancanza di definizione delle procedure e delle decisioni da assumere in materia nelle raccolte di decreti criminali di età moderna. A seconda dei casi le autorità potevano ritenere più funzionale la condanna all’oblio, secondo la tradizione romana della damnatio memoriae, o l’imposizione di un ricordo negativo attraverso una colonna infamante.
I circa sessanta episodi proposti vengono analizzati su due livelli differenti: giuridico e culturale. Sul piano giuridico viene sottolineato il legame tra l’istituzione politica, il crimine di lesa maestà e la sentenza di infamia, ricercandone i riferimenti all’interno delle raccolte dei decreti. Su quello culturale, invece, viene ripercorsa la storia dell’oggetto materiale e della narrazione sviluppata al suo proposito nei secoli successivi. L’autore evidenzia come questi oggetti fossero esposti nel corso dei secoli al deterioramento materiale e alle diverse manifestazioni di resistenza individuali e collettive. La storia della maggior parte delle colonne fu segnata da uno spartiacque comune: l’avvento delle truppe rivoluzionarie francesi sul finire del Settecento. Rompere con l’Antico Regime significò anche abbattere questi monumenti, percepiti come simboli di un potere tirannico. Per evitare il rischio che il volume risulti una semplice rassegna di casi, Albertoni ha posto al centro dei diversi capitoli una serie di questioni di ordine generale, indagate attraverso l’analisi delle storie delle singole colonne Stato per Stato.
Il primo capitolo è incentrato sul problema delle fazioni, che avevano prodotto per tutta l’età moderna violenze, intrighi e congiure. Questo percorso storico parte dalla Repubblica di Venezia, in particolare dall’episodio della congiura di Baiamonte Tiepolo nel 1310, per poi trattare del turbolento Seicento genovese. Segue un’indagine sulle vicende e sulle tradizioni giuridiche del Ducato di Savoia e della Francia. Dopo una breve incursione nella storia corsa e danese, il caso portoghese allarga gli orizzonti della ricerca all’adozione delle colonne infami da parte dell’Inquisizione e delle autorità coloniali. Ogni episodio di questo capitolo nasconde una trama di relazioni più vasta delle singole figure dei condannati, che nella maggior parte dei casi finirono per essere capri espiatori all’interno di un gioco politico tra Stati rivali.
Nel secondo capitolo la storia delle colonne è letta attraverso la lente dei rapporti tra centro e periferia e alle conseguenti dinamiche di conflitto. Per le autorità la condanna della memoria era una risposta ai tumulti popolari ed esprimeva la volontà di imprimere una pedagogia della paura sulla popolazione, tesa ad evitare sommosse future. Indagando tra le periferie dell’Impero spagnolo, vengono riportate storie di conflitti tra le istanze locali e la sovranità di uno Stato, «che non esitava ad utilizzare le condanne della memoria come mezzi di disciplinamento politico-culturale» (p. 179). Nei territori del Sacro Romano Impero, invece, il nodo conflittuale principale era la questione della rappresentanza nelle istituzioni locali e della rivendicazione di antichi diritti. Due colonne settecentesche erette nella Confederazione svizzera evidenziano poi un’ulteriore sfumatura di significato: in questo contesto non furono tanto rivolte a sopprimere un conflitto confessionale, quanto a controllare la capacità dei ceti più bassi di organizzare forme di dissenso politico e religioso che potevano minacciare l’esistenza stessa delle autorità.
Due diversi ordini di problemi vengono affrontati nel terzo capitolo: i delitti efferati e i conflitti giurisdizionali. L’autore ricostruisce biografie di individui che sfuggirono alla giustizia, alimentando in questo modo conflitti giurisdizionali sia tra Stati, sia tra autorità ecclesiastiche e civili. Tra gli episodi riportati vi è un focus sulla Milano manzoniana, in virtù dell’analisi della storia delle colonne infami erette contro Giovanni Paolo Osio, l’Egidio dei Promessi Sposi, e i due presunti untori della Storia della Colonna Infame, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora. Un ritorno a Venezia permette poi di indagare l’esistenza di una varietà di forme intermedie di condanne della memoria, tra cui le targhe infamanti. In tutte queste storie, tratte anche dai territori dell’Impero e dei Grigioni, la fuga del reo non ne metteva al riparo la memoria, sulla quale si abbatteva ugualmente il marchio di infamia imposto dalle autorità.
Nel capitolo conclusivo l’autore approfondisce l’origine, i tratti ricorrenti e il crepuscolo delle colonne di infamia. Albertoni dedica queste pagine alla riflessione sul nesso con le pitture infamanti nel contesto italiano e sul legame tra infamia perpetua e la demolizione punitiva degli edifici. La distruzione parziale delle colonne in età napoleonica fa anche sorgere interrogativi sulle modalità attraverso le quali le autorità francesi stabilirono quali monumenti abbattere: questi oggetti furono ogni volta al centro di calcoli politici e di «cortocircuiti di memoria non spontanei, ma indotti da una nuova era politica che aveva bisogno di nuovi eroi, martiri e antagonisti del passato utili alla politica del presente» (p. 320).
Questa monografia dimostra il potenziale espresso da una ricerca dalla forte impronta personale che non segue solamente gli interessi promossi dalle più recenti correnti storiografiche. Attraverso il tema delle colonne infami, lo studioso si confronta con la questione della memoria e della sua manipolazione, proponendo un’analisi di lungo periodo che collega lo specifico dispositivo di condanna alle diverse tradizioni giuridiche dell’Europa moderna. Monumenti come le colonne infami non sono mai stati un medium di un messaggio univoco, ma hanno alimentato per tutta l’età moderna narrazioni e contro-narrazioni culturali e sono stati, dalla loro costruzione al loro abbattimento, oggetto di valutazioni e conflittualità di natura politica.

 

 

[1] Mario Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Giuffrè, Milano, 1974.

 

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